Suore dell'Immacolata

Mia madre incontrò il povero prete

Prefazione

E’ possibile incontrare un uomo morto tanti anni prima? Marilena ci dice di sì anzi si può restare invasi dal suo amore tanto da essere sospesi, stupiti, toccati per sempre.

Come si entra in questa dimensione? Con un’importante apertura: considerare il Cielo come parte della nostra vita per giungere a capire che la Terra ed il Cielo sono tanto vicini da toccarsi e scambiarsi.

E’ scoprire la capacità di vedere lo spazio infinito della nostra vita ed insieme cogliere l’infinito che entra nella nostra vita.

Allora quando il Signore passa, e passa sempre, questi occhi ci permettono di vederlo. E’ una luce che il Signore dona a tutti, a noi resta la responsabilità e la libertà di accoglierla.

E’ il racconto avvincente di un sorprendente ed umile incontro che segna per sempre i protagonisti che si succedono a vario titolo.

Nel racconto, delicato, dei due interventi miracolosi, così diversi tra loro, ma stranamente uniti da una rete di persone, dallo stesso ambiente, dalla stessa città, si percepisce lo stupore di fronte a ciò che evidentemente va oltre la ragione fino a giungere ad un abbandono, ad una confidenza con un prete, un umile prete, testimone dell’amore di Dio.

“L’amore di Dio” del sacerdote santo Agostino Roscelli sembra gridare che Dio solo sa in che modo intende incontrarci, a volte ci attende proprio in quel vuoto che tanto fa soffrire, nella desolazione di una vita difficile ed a volte sciupata.

E’ un amore che rimette in marcia, dà ali alla speranza, respiro all’esistenza, nulla è più   come prima per chi lo ha sperimentato: un sole è sorto nella sua persona.

Un’esperienza che, con tratti lievi in realtà pesanti, come possono essere quelle vissute drammaticamente a contatto con la sofferenza e le prognosi più nefaste, è un dono per tutti e mi auguro che lo stesso sia per quanti avranno la fortuna di leggere queste pagine.

A dieci anni dalla canonizzazione di Sant’Agostino Roscelli

Sr.M. Rosangela Sala

Prologo

Abitavo in Francia, lontana dai miei.

Ogni giorno ci telefonavamo, e ci raccontavamo le nostre giornate. Pagavamo, ogni due mesi, bollette incandescenti.

Poi, come macchie di sangue su un tessuto, nei loro discorsi comparvero eventi soprannaturali.

Mia madre ne parlava con noncuranza, mescolando l’accaduto a cose più terrestri: lavoro e nipoti, giardinaggio e informatica.

Mio padre sembrava compreso da un sacro compito, e sicuro, fin dall’inizio, di come sarebbero andate le cose.

Mia sorella, insofferente di tutto ciò che puzza di soprannaturale, era ancora incerta su come reagire.

Vi sto parlando di tre persone a me care, che hanno un altro lato in comune: una totale onestà.

Ricordo di aver creduto a ciò che dicevano, senza esitazioni, né ripensamenti.

E tutti noi sappiamo quali conseguenze possa avere un fatto narrato da testimoni oculari, degni di fede… Pensate solo a come abbia cambiato il mondo quel racconto che risale a duemila anni fa!

Fu così che i miei mi parlarono delle guarigioni miracolose a cui avevano assistito, e in me nacque il desiderio di scrivere l’accaduto.

Di ritorno in Italia, contattai i protagonisti.

Parlai con suor Maria Matilde Dell’Amore, ancora stupita e un po’ contrariata di trovarsi al centro di un evento portentoso.

Parlai con Salvatore Casciaro, miracolato in piena confusione, così turbato da nascondersi nei panni del semplice spettatore.

Il terzo protagonista di questa storia, Agostino Roscelli, non potevo contattarlo così facilmente, perché era morto quasi cent’anni prima. Però c’era chi lo aveva incontrato, di recente.

Mia madre l’aveva incontrato.

Matilde l’aveva trovato più volte sul suo cammino.

Qualche anno dopo, era stato il turno di Salvatore… E così, in seguito, era accaduto ai loro amici, familiari, coniugi, colleghi, medici curanti.

Ciascuno di loro aveva superato, senza neppure accorgersene, la distanza temporale, apparentemente invalicabile, che lo separava dalla vita terrena di don Roscelli.

Poi, a forza di parlare con i testimoni, a forza di leggere pagine e pagine sulla sua vita, a forza di cercarlo…

Alla fine, l’ho incontrato anch’io.

Per lui, per tutti loro, per tutti voi…  Voglio raccontare questa storia umana.

Non pretendo di spiegare ciò che resta inspiegabile.

Voglio solo dirvi ciò che so.

 

Mia madre incontrò il  povero prete

 

Prima parte

Giugno 1974

 

1 Né giorno né notte

Mattino d’estate.

In teoria il cielo è azzurro, splende il sole e fa caldo.

In pratica mia madre, radiologa, lavora nei sotterranei del Padiglione Settimo, all’Ospedale San Martino.

Là sotto tutte le ore del giorno sono uguali, e così tutti i giorni dell’anno.

La luce del sole non arriva mai, e spesso, nel corso di una giornata di lavoro, Marisa riesce persino a dimenticarsi se fuori è inverno o estate.

Riesce ad avere freddo in pieno agosto: i piedi gelati, la punta del naso ghiacciata.

Ha bevuto un caffelatte con mio padre, a casa, prima di partire, e un caffè qui nel corridoio, al distributore automatico.

Ѐ prestissimo: l’ora degli esami più urgenti, come quelli che precedono un intervento chirurgico.

Mia madre si dirige verso la sala d’aspetto, per incontrare il primo “caso” della giornata.

 

2 Pensieri di un’insegnante

“L’attesa è sempre snervante. Tutti noi, in fondo al cuore, pensiamo di essere invulnerabili, e che la malattia e la morte riguardino soltanto gli altri. Per questo, quanto ti trovi seduta in una di queste sale d’aspetto, il mondo si capovolge. I progetti sono tutti rimessi in discussione. Manca meno di un mese alla maturità. Ci sarò ancora? Sarò… Malata, convalescente, guarita? I ragazzi… Loro contano su di me. E adesso? Signore, fa che non sia grave! Mi sono impegnata tanto con loro. Ѐ difficile fare amare una materia come la filosofia, eppure ci sono riuscita. I ragazzi hanno sete di assoluto. Hanno bisogno di respirare qualcosa di puro, in questo mondo che li soffoca nel suo materialismo. L’uomo non vive di solo pane… Ecco, mi chiamano, è arrivato il mio turno.”

 

3 L’ora delle parole

Mia madre dialoga sempre con i pazienti, prima dell’esame. Altri radiologi schivano questa incombenza: il loro rapporto inizia e finisce con la radiografia. Vengono detti, ironicamente, lastrologi…

Lei invece deve vedere in faccia i suoi malati, ascoltare la loro voce.

Curiosità? Scrupolo?

L’hanno criticata aspramente, per questa sua consuetudine.

“Dottoressa, lei, a casa, ha quattro figli… Quattro ragazzini! Come può parlare ai malati senza prendere precauzioni, a pochi centimetri di distanza?”

I pazienti del reparto sono quasi tutti tisici, e si sa, basta una goccia di saliva…

Per qualche tempo, Marisa ha tentato di tenere gli ammalati a distanza, parlandogli senza guardarli, per evitare contagi per via respiratoria.

Ben presto se n’è vergognata.

Come faceva a comportarsi come se non fossero presenti?

Erano malati, ma vivi.

Non poteva trattarli come fossero morti.

 

4 L’incontro

Mia madre ricorda quel mattino in modo nitido, ma breve: come se l’incontro fosse durato pochi istanti, un flash.

Nella semioscurità del suo studio intravede la sua paziente in attesa: la figura alta, vestita di nero,  il brillio dello sguardo vivace.

  • Mi racconti tutto. –
  • Ieri ho ingoiato inavvertitamente uno spillo.
  • Di che dimensioni, ha un’idea? –
  • Mah… Cinque centimetri, forse. –
  • Santo Cielo, com’è accaduto? –
  • Lo tenevo in bocca, stavo per utilizzarlo. –
  • Lei è sarta? –
  • No, insegno filosofia. Scherzavo con una collega, mentre cercavo di fissarmi il velo sul capo. Abbiamo riso, e lo spillo mi è sfuggito dalle labbra. Ho avvertito qualcosa. Come una piuma che passava in gola, senza dolore.–
  • E poi? –
  • Continuavo a credere che mi fosse caduto. L’ho cercato per terra; inutilmente.–

 

5 L’immagine

– Ecco, vede? I polmoni sono questi due triangoli.-

Marisa fissa lo sguardo sul diafanoscopio: una tavola luminosa, grande come una parete, su cui si appendono le radiografie per analizzarle.

Anche la paziente guarda verso la lastra.

La forma dello spillo, chiara, spicca alla base del polmone sinistro. La capocchia è verso il basso e la punta verso l’alto, quasi in verticale

Mia madre si morde un labbro.

I bronchi non hanno forma rettilinea, ma sono contorti, come i rami di un albero.

E lo spillo, così lungo… Com’è possibile tirarlo fuori, senza un intervento chirurgico?

La punta è volta verso l’alto. Impedirà al corpo estraneo di muoversi, di avanzare: può impigliarsi, perforare i tessuti… Ѐ nella posizione meno favorevole per una fuoriuscita spontanea.

La dottoressa tace.

Lo spillo, nell’apparato respiratorio, può provocare in breve tempo un’infiammazione al polmone, ed è solo una delle tante ipotesi in esame; può anche accadere di peggio. Non si può lasciarlo lì.

Se il corpo estraneo non esce da sé (e mia madre non vede come potrebbe uscire) sarà necessaria la toracotomia. In altre parole, dovranno aprire il torace per mettere allo scoperto il bronco e raggiungere il corpo estraneo.

Si volta verso la paziente.

  • Quanti anni ha? –

Gli occhi di mia madre si sono abituati alla semioscurità. In effetti, ora lo nota, la paziente porta un velo nero sul capo: è una suora.

 

6 Vigilia

Suor Matilde, nel suo letto di ospedale, guarda un calendario appeso al muro.

Il tempo le sfugge di mano, e la stanchezza l’abbatte.

L’incidente è accaduto venerdì scorso: oggi è domenica. Nel pomeriggio hanno tentato di localizzare il corpo estraneo con la broncoscopia, e poi di rimuoverlo con la fibroscopia.

Niente da fare.

Lo spillo sembrava aver messo radici, chiuso nel suo nido.

Per questo domattina, lunedì, hanno previsto l’intervento chirurgico.

Non le rimane che lasciar trascorrere la notte.

Stasera le consorelle sono venute a trovarla, e l’hanno lasciata ricordandole che, tutte insieme, pregano per lei.

Prima di addormentarsi, i suoi pensieri scivolano verso il passato, e in punta di piedi l’accompagnano fino ai giorni della sua infanzia.

 

7 Sogni e ricordi

Sono trascorsi quarant’anni. Lei, bambina, è in prima elementare. A quei tempi la scuola delle suore Immacolatine si trova in via Volturno, in un vecchio edificio che oggi non esiste più.

C’è una grande croce nera in cima alla prima rampa di scale.

Le bimbe, salendo di corsa i gradini, non possono fare a meno, passando là davanti, di interrompere le chiacchiere e le risa, senza sapere perché.

Le più grandi si fermano e toccano il legno ruvido, scuro, facendosi poi il segno della croce.

Matilde impara a ripetere quel gesto: una preghiera per vincere il senso di sgomento che l’afferra, vedendo quella croce cupa, incombente.

Matilde è vivace, anzi vivacissima. Le suore sono severe: basta poco, uno spintone a una compagna, una risposta impertinente, e lei si ritrova dalla Superiora.

Madre Serafina, con sua grande sorpresa, non si arrabbia. La prende per mano e la porta con sé in una stanzino minuscolo, spoglio. La fa sedere nell’unica poltrona.

“Mettiti qui… Tranquilla. E prega il Fondatore!”

“È la sua stanza?”

“Sì.”

La suora la lascia sola per una mezz’oretta.

Chi sarà il Fondatore? Così gentile da prestarle il suo rifugio, ogni volta che si mette nei guai…

A che servirebbe punire una bambina vivace? Suor Serafina meriterebbe un premio per il suo acume psicologico. La stanza del Fondatore è un’oasi di silenzio, un luogo di riflessione, un calmante di grande efficacia.

Il Fondatore, versatile, risolve tutti i problemi. Se questo non è un miracolo!

“Madre… Ma dov’è il Fondatore? Non l’ho mai incontrato…”

“In Paradiso. Altrimenti, a che servirebbe pregarlo?”

Sembra logico. Se non fosse lassù, come potrebbe operare miracoli, grandi o piccoli?

Gli anni passano. La bimba diventa ragazzina, l’adolescente si fa donna. Fino alla scelta di prendere il velo, durante la guerra.

Matilde si agita sotto le lenzuola; poi, rasserenata, scivola in un sonno più profondo. La stanza d’ospedale sembra molto più piccola: aleggiano il profumo di cuoio della vecchia poltrona, e l’eco di una voce familiare, scomparsa da anni.

“Prega il Fondatore!”

 

8 L’ora cruciale

Lunedì mattina.

Matilde è tornata nel reparto di radiologia.

È di routine una lastra del torace, richiesta dall’anestesista, prima di ogni intervento.

L’esame viene fatto per verificare le condizioni della paziente; per accertare che non vi siano complicazioni infiammatorie che possano controindicare l’operazione; per precisare ulteriormente la posizione del corpo estraneo.

I medici sanno già che lo spillo si trova in un bronco distale, cioè periferico: lontano dalla trachea, quindi dall’uscita.

L’esame non viene fatto per vedere se lo spillo sia ancora nel bronco, perché è chiaro che non può muoversi, né tanto meno uscire spontaneamente.

 

9 Un evento inspiegabile

Impressione di déjà-vu.

Ancora una volta, il corridoio illuminato, e il senso di cecità, all’ingresso nella sala radiologica semibuia.

La suora, calma, immobile, attende.

Mia madre guarda la lastra, e subito scuote il capo.

  • C’è un errore. –

A volte succede. Deve trattarsi di uno scambio di paziente.

Rapidamente, si ripete la radiografia, ma il risultato è lo stesso, per quanto inverosimile.

Lo spillo è scomparso.

Qualche minuto dopo, c’è una piccola folla di radiologi e chirurghi, che si accalcano intorno alle strane immagini, appese al diafanoscopio. 

 

10 Dove?

Ai medici, per quanto abituati ad agire con prontezza di fronte alle situazioni più inattese, occorre qualche istante per adattarsi allo strano evento.

È ora di porsi la domanda successiva: dov’è finito il corpo estraneo? Svanito nel nulla, volatilizzato?

Passato lo choc, una lastra successiva lo scoverà… nell’intestino.

Stupore generale.

Ѐ possibile che uno spillo faccia un tale gioco di prestigio, e che passi, nel corso di una notte, da un bronco al colon?

Non è possibile.

E allora?

Le domande dovranno aspettare.

Ciò che conta, è che lo spillo non è più in condizioni di nuocere alla paziente. Più tardi, potrà espellerlo senza problemi.

Scampato il pericolo, è ora di voltare pagina. Ѐ stato tutto così rapido: il tempo di guardare un paio di lastre; qualche istante per assorbire il colpo. Ma altri pazienti aspettano il loro turno.

Il tempo non si ferma per nessuno. Né per le domande senza risposta, né per le riflessioni, né per lo stupore.

 

11 Qualcuno lassù

Intanto si sono dimenticati di Suor Matilde.

Lei è rimasta in piedi, a osservare il viavai dei medici, ad ascoltare i commenti, le esclamazioni, come una semplice spettatrice.

Nel tramestio, sembra la più calma di tutti.

Come dirà più tardi, non ha afferrato pienamente la portata dell’evento.

Mio padre, Bruno, anche lui radiologo, si riscuote dal suo stupore e le chiede se vuole sdraiarsi.

Suor Matilde protesta: sta benissimo, non è il caso.

La suora ricorda, con un po’ d’ironia, che è piuttosto mio padre a sembrare pallido, turbato. Con la voce che trema un po’, le si fa vicino e le domanda, scherzoso:

  • Dica la verità… Lei ha qualche Santo in paradiso? –

Ora sì, Matilde si emoziona, e il cuore batte all’impazzata. Non riesce neppure a rispondere.

 

12 Pensieri e parole

Il lavoro incalza. Suor Matilde dov’è? Uscita? Si presenta già il caso successivo. È assai complesso. Com’è possibile spiegare l’accaduto?… «Fate entrare il paziente. Mancano i dati clinici… Per favore chiedete la cartella!» «Dottoressa, deve chiudere la finestra, sta piovendo sulle lastre.» «Ma io, se chiudete la finestra, non riesco a respirare». C’è il primario di pneumologia? In questo punto è difficile che sia un tumore. E lo spillo? Questa lastra è da rifare, il paziente ha respirato, non è rimasto in apnea! Che mistero… Facciamo una tomografia obliqua sull’emitorace sinistro. Bisogna verificare la pervietà dei bronchi. Andiamo a prendere un caffè? Non ne posso più! «Fate coricare questo paziente. Misurategli la pressione.» Lo spilloPossibile che non esista una spiegazione? «Passatemi la sala operatoria. Insomma, dov’è l’esame istologico??? Passatemi la chirurgia toracica.» Abbiamo poco tempo. Polmone a parete, RX postoperatorio, lo spillo?, escavazione, colliquazione, lo sp…, versamento, emorragia, linfedema, pneumotorace, …., ernia transmediastinica, localizzazione segmentaria…  Basta così. È ora di andare a casa.

 

13 Il Fondatore

Lo chiamano il “povero prete”, perché è cresciuto nella povertà più estrema: da bambino porta al pascolo le pecore. Anche se poi, in tempi di fame come quelli, si rifiuta di mangiarle quando vengono messe in tavola.

Diventa sacerdote a Genova, e continua a vivere nelle ristrettezze, nella scelta degli ultimi posti, nella rinuncia a ogni riconoscimento umano.

Gli emarginati, i carcerati, le ragazze madri, i rifiuti sociali, i perdenti di questo mondo sono i suoi figli e le sue figlie, i suoi fratelli e le sue sorelle.

È lui che accompagna i condannati a morte fino al patibolo.

Lo chiamano “l’uomo del silenzio”: tutto in lui tende a passare inosservato.

Non domina le folle e non sconvolge le coscienze.

Il silenzio è il suo distintivo e il segno inconfondibile della sua presenza.

Il bene da lui compiuto non fa rumore, oggi come cent’anni fa.

È un seme che cresce in silenzio. Darà vita a un albero che crescerà fino a sfiorare le nuvole.

A un secolo di distanza, quest’albero continua a dare i suoi frutti.

Così il seme non si disperde.

E chi l’ha seminato vive ancora, un secolo dopo la morte.

Matilde lo incontra a scuola, da bambina; in seguito lo incontra alle soglie di un intervento chirurgico che non avrà mai luogo.

Don Roscelli le regala un miracolo gentile, perfettamente in carattere con la sua personalità.

Non le salva la vita; per quanto ne sappiamo, la vita di Matilde non era in pericolo.

Ma l’idea di abbandonare i suoi allievi, nell’ora degli esami, era per lei molto più preoccupante che il pensiero della propria salute.

Lui, il Fondatore della scuola, l’avrà capita al volo. E avrà sorriso, ripensando alla monella di un tempo, in attesa nella quiete del suo stanzino.

Un miracolo silenzioso? Un miracolo insignificante?

Eppure, verrà riconosciuto con grande rapidità.

 

14 Ritorno

Suor Matilde, improvvisamente dimessa dall’ospedale, va a casa.

Non telefona neppure per avvertire le consorelle: tanta è la sua fretta di ritornare alla vita normale.

Però, psicologicamente, non riesce a recuperare.

Le sembra di aver perso i propri punti di riferimento, e di camminare in una nebbia fitta.

Nella sua vita si è aperta una spaccatura di dimensioni illimitate.

C’è stato un portentoso cambiamento di scena:

– Prima, la drammatica attesa dell’intervento, l’ansia, il chirurgo, l’anestesista, i medici in fermento…

– Poi, una semplice suora se ne torna a casa in autobus.

Sospeso tra il PRIMA e il DOPO, c’è un piccolo oggetto comune.

Uno spillo vagabondo.

E il suo viaggio nel corpo di Suor Matilde non è spiegabile scientificamente.

Si tratta di un evento soprannaturale.

 

15 La suora dello spillo

Suor Matilde:

“Ci vollero cinque anni perché mi decidessi a credere che si trattava di un miracolo. Altri lo capirono subito, e mi convinsero, giorno per giorno, con la forza della goccia che corrode la pietra…

Io pensavo a un miracolo come a qualcosa di più drammatico: ad esempio, la salvezza di un malato in punto di morte. Ma avevo torto. Di miracolo si trattava, anche per me.

C’era una vasta messe di grazie ottenute per intercessione di Don Roscelli, e fin dal 1932 si raccoglievano questi dati in vista di una possibile beatificazione.

A partire dal 1968 ero stata io a occuparmene. C’erano state molte guarigioni, e mi parevano ben più degne di nota di ciò che mi era accaduto.

All’inizio del 1993 fu deciso che proprio il mio caso doveva essere portata a conoscenza della Chiesa!

Fu una sorpresa abbastanza sgradita per una persona riservata come me.

Mi vergognavo persino di andare alla ricerca dei certificati necessari; però mi feci forza. Con grande stupore, scoprii che all’ospedale San Martino tutti si ricordavano di me.

La frase con cui mi accolsero:

– Ah, lei è la suora dello spillo? –

Altro fatto curioso: i documenti necessari furono ritrovati subito, dopo un intervallo di tempo così lungo! Sembrava incredibile.

Gli impiegati dell’archivio erano certi che ogni traccia fosse  perduta. Dopo dieci anni gli esami non venivano più conservati.

In questo caso di anni ne erano passati diciotto, eppure l’intera documentazione che stavo cercando era ancora nell’archivio. Dobbiamo dire che fu una coincidenza?”

16.

Chi conosce il futuro?

Non vogliatene a mia madre se, tornando a casa, non pensa più all’accaduto.

Qualsiasi medico impara presto a conservare i pensieri del lavoro e degli affetti in compartimenti stagni, ben separati. Ѐ meglio cercare di passare dall’uno all’altro senza portare nulla con sé: cercando di avvolgersi, a ogni guado quotidiano, in un utile oblio.

E così, eccola a tavola con i suoi quattro ragazzi.

C’è Alberto, seduto di fronte a lei.

Alberto ha diciannove anni, ed è forse, tra i suoi figli, quello che manifesta l’intelligenza più spiccata. Frequenta l’università di Fisica in anticipo di un anno sui coetanei.

Enrico, diciassette anni, capelli biondi e viso d’angelo, è tutt’altro tipo…  Sembra apprezzare molto più gli scacchi e il bridge che lo studio.

Ci sono anch’io, Marilena, seduta scomposta, con un libro nascosto sotto al tavolo: adolescente di sedici anni, ancora al liceo, con un dirompente interesse per la letteratura.

Guardandoci seduti intorno a sé, i pensieri di mia madre prendono il volo. Come saremo, cosa faremo da grandi?

Lei si mordicchia un’unghia.

Di due genitori medici, così appassionati del loro mestiere, nessuno dei figli seguirà le orme?

Si accorge che Luisa, la piccola di undici anni, non è più a tavola. Come mai? È in perenne fuga dal cibo, e anche ora il suo posto è vuoto.

Mia madre si alza e va a cercarla.

La trova nascosta sotto il suo letto, tra bambole mutilate e seminude.

Mia madre raccoglie la più vicina, incuriosita da una scritta minuscola, a biro rossa, sull’unica gamba rimasta.

  • Eritema nodoso – legge a voce alta.

Sbalordita, cerca lo sguardo di Luisa…

Inutile: è già scappata a nascondersi altrove.

Seconda parte

Febbraio 1995

1.

Una difficile vocazione

Gli anni volano come nuvole inseguite dal vento.

Cambiano forma, si sfaldano, creano nuove immagini, tracciano disegni inediti.

I quattro adolescenti che avete intravisto poco fa, ora sono adulti.

E Luisa? Voglio parlarvi di lei, perché, sia pure in modo involontario, si troverà tra i protagonisti di questo racconto.

Mia sorella, che ha cinque anni meno di me, ha smesso da tempo di giocare con le bambole.

Finito il liceo, ha visitato le segreterie delle varie facoltà universitarie di Genova, e ha chiesto TUTTI i programmi.

In famiglia, l’abbiamo presa in giro:

“Possibile che non ci sia nulla che ti interessi in modo particolare?

In realtà, qualcosa c’era.

Negli anni del liceo, d’estate, mia sorella sacrificava tempo e riposo occupandosi dei ragazzini di una comunità, provenienti da famiglie difficili (figli, ad esempio, di padre carcerato e madre tossicomane).

Passava le sue vacanze nel verde della pineta di Monteleco, giocando con questi adolescenti, parlando con loro, scavando nel loro agghiacciante vissuto, distraendoli.

(E già che c’era, beccandosi pidocchi, febbri, salmonellosi e altre piacevolezze, sfinendosi invece di riposarsi.)

Terminava l’estate magra come un chiodo, esausta… Ma con la soddisfazione di essersi resa utile a qualcuno.

“Ecco… Mi piaceva occuparmi dei ragazzini difficili. Vorrei farne il mio lavoro. Forse, potrei diventare assistente sociale.”

Mia madre si è opposta bellicosamente.

“Vuoi scherzare? Con cinquantadue sessantesimi alla maturità, sarebbe un delitto non laurearti! Se vuoi aiutare quei ragazzi, fallo al massimo livello.”

“Cioè?”

“Iscriviti a medicina. Dopo la laurea, se sarai ancora dell’idea, ti specializzerai in neuropsichiatria infantile.”

Oggi Luisa sorride, ripensando a questi antichi progetti.

Attualmente è medico reumatologo e si occupa di … geriatria!

2.

Un percorso a ostacoli

Al quinto anno di Medicina, Luisa trascorre sei mesi all’ospedale  Gaslini. Il suo desiderio di occuparsi dei bambini va in frantumi.

“Non potevo sopportare la vista delle loro sofferenze… In particolare, non potrò mai dimenticare un bambino conosciuto laggiù, affetto da spina bifida. Aveva otto anni, e faceva sforzi sovrumani per camminare con i tutori. Il medico curante lo guardava con grande pena, e mi diceva, in disparte: – In ogni caso morirà prima di aver compiuto quindici anni.- Oggi, se fosse vivo, quel bambino avrebbe vent’anni.”

Mia sorella è impressionabile. Vomita alle autopsie. Sviene persino assistendo ai prelievi.

Ma non desiste, e la sua costanza viene premiata.

Tutto si impara, anche il coraggio.

3.

Lezioni di vita

Conclusa l’esperienza traumatizzante dell’ospedale pediatrico, Luisa inizia il tirocinio del sesto anno al reparto di Medicina Interna.

Qui incontra un giovane medico: Salvatore Casciaro.

In casa, i miei si abituano a sentirlo nominare spesso.

Casciaro è un entusiasta che ama il suo lavoro e riesce a svolgerlo nel migliore dei modi. Per questo, mia sorella lo stima.

Casciaro diventa il suo mentore e il suo punto di riferimento: le insegna le basi del suo mestiere. Come si legge una cartella clinica? Come si fa un prelievo? Come si misura la pressione? Come si legge un esame istologico?

La sua presenza, il suo slancio trasformano la corsia in un universo socialmente vivo, nel quale si intrecciano i rapporti tra gli ammalati, i medici, i laureandi.

Nascono amicizie tra i giovani, che iniziano a frequentarsi anche al di fuori delle ore lavorative.

4.

Mete

Luisa si laurea.

Dalla mia lontana Francia vedo le foto dell’avvenimento. Uno dei miei due bimbi ha la febbre alta, e non ho potuto mettermi in viaggio. Lei indossa un tailleur grigioverde, colore dei suoi occhi, ed è raggiante.

Pochi mesi dopo si iscrive all’Istituto Bruzzone, la scuola di specializzazione in reumatologia. Tra queste mura presto incontrerà il suo futuro marito, Enrico.

Ѐ un periodo felice: lei è al culmine del suo entusiasmo, del suo splendore, della sua gioia di vivere. Ha trovato le sue vere vocazioni, nel lavoro e in amore.

Continua a frequentare gli amici del vecchio reparto di Medicina Interna, per cui ha spesso notizie di Salvatore che, a sua volta, ha trovato la compagna della sua vita.

Chi immaginerebbe che, dietro l’angolo, incombe un pericolo mortale?

5.

Evento improvviso

Ѐ una fredda sera di febbraio.

Salvatore all’epoca vive con la sorella minore, Rosaria, in procinto di laurearsi in Medicina, e con la compagna Franca, che aspetta un bimbo. Ѐ una sistemazione provvisoria, in un appartamento piccolo,  disordinato, pieno di libri, che rispecchia la loro serietà ma anche la loro gioia di vivere. I due fidanzati hanno in programma di sposarsi, e hanno già iniziato a restaurare la nuova casa che li accoglierà, dopo il lieto evento.

Sono le undici passate. Rosaria sta studiando forsennatamente. La cosa non è insolita: sta cercando di “togliersi” gli ultimi esami, prima della tesi…

All’improvviso Salvatore entra nella sua stanza. Lamenta dolori al petto e malessere generale.

Sono i sintomi dell’infarto.

Un quarto d’ora dopo, Rosaria chiama l’ambulanza.

Salvatore è sofferente: è pallido e suda freddo. Le sue condizioni appaiono gravi. I soccorritori dell’ambulanza se ne rendono conto: vogliono somministrargli l’ossigeno, ma lui rifiuta.

Rosaria e Franca lo accompagnano al Pronto Soccorso, dove è di turno un suo collega, che conferma la diagnosi d’infarto.

Salvatore viene trasferito immediatamente in cardiologia, dove, nella notte, viene sottoposto a una coronarografia; Rosaria spiega a Franca che si tratta di un esame in cui, mediante l’introduzione di un mezzo di contrasto, si riescono a visualizzare le coronarie.

L’esito conferma che si tratta di infarto miocardico. La situazione è grave, ma è sotto controllo. Salvatore riceve una prima terapia, con pronto miglioramento e diminuzione del dolore.

Le due giovani restano accanto a lui fin verso le tre del mattino.

Rosaria cerca di rassicurare Franca, preoccupata per il suo stato di gravidanza: stanno facendo la cosa giusta. Salvatore è in buone mani.

Ma la giovane non è affatto serena come cerca di apparire. Per un’inquietante coincidenza, in questo stesso reparto di cardiologia è stato ricoverato il padre di Rosaria e di Salvatore, nel 1988, e qui è morto per complicanze da intervento di by-pass.

6.

Evoluzione sfavorevole

Nel pomeriggio del secondo giorno di ricovero, Salvatore accusa nuovi dolori al petto. Si decide di ricorrere a un’altra coronarografia, per seguire l’evoluzione dell’infarto. Sono le tre del pomeriggio.

Contemporaneamente Luisa, mia sorella, venuta a conoscenza del ricovero di Salvatore, si reca a visitarlo all’unità coronaria, in compagnia di una collega. Nota un’atmosfera d’imbarazzo: le infermiere non consentono di vederlo. In un primo tempo non vogliono spiegarne il perché. Poi la notizia cade come una folgore: Salvatore è improvvisamente entrato in coma.

Luisa cerca di contattare per telefono i suoi cari, ma non riesce a trovare nessuno.

7.

L’ “evento cardine”

“Salvatore, come ti senti? Sei calmo a sufficienza, il Valium funziona?”

“Sono molto in ansia. Il dolore è tornato, più forte di prima.”

“Per questo siamo qui. Ripetiamo la coronarografia. Il procedimento lo conosci già: anestesia locale all’inguine. Aspettiamo qualche istante… Poi inseriamo l’ago nella vena femorale superficiale; attraverso l’ago il catetere che fa da guida all’introduttore del contrasto… Guarda nel video. Riesci a vedere il catetere che sale?”

“Sì… Certo.”

“Ecco la coronaria principale. Ma noi vogliamo un’immagine selettiva e proseguiamo ancora. Ci siamo: iniettiamo il contrasto. Come ti senti?”

“Come prima… Non preoccuparti…”

“Ecco la coronaria che c’interessa. L’occlusione è qui. Siamo nei rami più sottili, vedi?”

“Salvatore, mi senti? Salvatore…”

“Non risponde, ha perso conoscenza.”

“I parametri cardiorespiratori…”

“Ma cosa c’è?”

“Fibrillazione ventricolare…”

“… Queste sono convulsioni!”

“Ma l’iniezione? Ci sono stati dei problemi?”

“Apparentemente, no. Ma si è sentito male subito dopo…”

“Un embolo, forse?”

“Un embolo può partire in un caso su mille, ma se parte, non chiede il tuo permesso…”

“Il neurologo è arrivato.”

“Che facciamo, lo portiamo in rianimazione?”

“Le pupille non reagiscono. I quattro arti… Assenza di riflessi. Mio Dio, è in coma profondo… Dobbiamo capire che cosa è successo! Ci dev’essere un embolo, una lesione vascolare cerebrale. Ci vuole una TAC, subito.”

“Ѐ cianotico…”

“Fate presto… Si sta aggravando.”

8.

Pensieri di un uomo che scivola

Mentre perde conoscenza, Salvatore ha un moto di rabbia: qualcosa è andato storto. Uomo di scienza, non crede nel fato, ma nella responsabilità individuale. Di chi è la colpa? Qualcuno dovrà pagargliela… Non si accorge di svenire. Gli viene in mente il reparto in cui lavora, i colleghi, e poi… Sogna di trovarsi in corsia. Uno dopo l’altro, passa in rassegna i suoi pazienti, si preoccupa delle loro condizioni, si sofferma accanto ai loro letti, scruta i loro volti sofferenti. Nella sua improvvisa perdita di coscienza, ha completamente dimenticato le proprie condizioni, l’infarto, l’esame in corso. Non ricorda altro che i suoi malati. Ha dimenticato la paura di morire, ma loro no, non li ha dimenticati neppure mentre scivolava nel coma.

9.

Pensieri di una sorella

“Salvatore, sono qui! Non mi permettono di vederti… Come mai? Qualcosa è cambiato, nell’atmosfera o nelle mie percezioni. Franca è in una saletta e sta parlando con un medico. Da lontano non sento le loro voci, vedo le labbra che si muovono. Franca è agitatissima.

Mi avvicino e sento le parole “Edema cerebrale”. Ho un tuffo al cuore.

Entro d’impeto e chiedo: “Cosa sta succedendo?”

La risposta del medico mi gela il sangue nelle vene.

Ti hanno portato nella camera iperbarica. Entriamo, ma io non oso guardarti, e chiedo a Franca di farlo per me. Lei non dice niente.

Cerco di farle coraggio. Lei oltrettutto è incinta… Ma ho la sensazione che sia più coraggiosa di me.

Ti portano in rianimazione. Mi nascondo in uno sgabuzzino per non vederti passare, inerte, sulla barella.

Perdonami, so che non ti piacciono le mie superstizioni. Mi conosci meglio di tutti, sei il mio fratello più caro, anche se hai tredici anni più di me. Io non posso avvicinarmi, sfiorarti. Sento che, se ti vedo mentre sei in coma, potrei arrendermi, come se accettassi questa realtà intollerabile. So che ti sembrerà sciocco, ma a modo mio, sto lottando al tuo fianco, sto sbarrando il passo alla Morte.

Perdonami, perdonami, perdonami. Questa sorta di rituale magico è l’unica speranza a cui riesco ad aggrapparmi.”

10.

Monologo di una mamma in attesa

“Non sembri un uomo che dorme, sei troppo immobile. Il tuo sonno è così profondo. Sembri un uomo appena morto. La vita non ti ha abbandonato, eppure nessuno riesce a svegliarti… Neppure la mia voce. Ascoltami! Io ti parlo del nostro futuro. Ti parlo del nostro bambino! Ricordi? Tu volevi sapere se è maschio o femmina, e io mi sono rifiutata di fare l’esame, non volevo sapere nulla… Sono stata una sciocca. Guarda qui! Ho fatto l’ecografia poco fa. Mi senti? Guarda, ti ho portato le immagini. Ѐ un maschio, mi senti? So che mi senti. Io resto qui accanto a te. Voglio cantarti una delle nostre canzoni. Volevi un maschio, non è vero? Allora festeggiamo. Lasciami cantare per te.”

11.

Rosaria si nasconde

“Salvatore… Sono sempre io. Qui, fuori dalla rianimazione.

Non posso entrare, non posso fare le notti. Solo Franca può starti accanto.

Mi nascondo in uno sgabuzzino dove nessuno mi vede, e che dà sul corridoio che porta alla rianimazione.

Ogni tanto Antonio, l’infermiere tuo amico che ti assiste, mi dice di andarmene a casa, ma io resto qui.

Oggi ho parlato con il primario neurologo. Ha classificato il tuo coma al terzo livello della scala neurologica, il più grave.

Medici e infermiere entrano ed escono. Quando mi vedono, affacciata sul corridoio, mi guardano con aria compassionevole. Sembrano pensare: “Cosa fai lì fuori? Tornatene a casa. Tanto la situazione è quella che è.”

12.

La sfida

Ѐ una triste sera d’inverno, con un vento gelido che urla  per le strade e tra le fronde degli alberi.

Luisa è a casa. Ѐ stata a trovare Salvatore il giorno prima. I medici le hanno comunicato l’atroce responso: non c’è nessuna speranza, il paziente è condannato.

Da allora non è più tornata laggiù. Si limita ad ascoltare le notizie infauste che le piovono addosso, da colleghi, amici, conoscenti. Un senso d’impotenza profondo la invade.

Parla a lungo al telefono con Enrico, il suo fidanzato, anche lui medico. Alla fine lui chiude la conversazione con questa frase:

“Se gli vuoi bene, augurati che muoia!”

Sono parole difficili da accettare. Eppure, lei sa. Non ha studiato tutti questi anni per poter ignorare la realtà! Se Salvatore si sveglia, con ogni probabilità sarà completamente paralizzato. Il cervello non funzionerà più come prima, o non funzionerà affatto.

Lei si aggira per casa, senza trovare pace.

Mio padre le posa una mano sulla spalla.

“Anche oggi, in reparto ho sentito parlare di Casciaro.”

“Da chi?”

“Una collega, in radiologia. Ѐ in continuo peggioramento.”

Se ne parla ovunque. Il tam-tam delle brutte notizie viaggia in fretta e raggiunge tutti.

Luisa si mette la giacca a vento, e si accinge a uscire. Ha bisogno di sfogare la sua ansia camminando, respirando l’aria gelida.

In quel momento suona il telefono accanto alla porta d’ingresso. Mio padre risponde.

Luisa gli passa accanto, rapida, chiusa nei suoi pensieri.

Lui posa una mano sulla cornetta e le bisbiglia:

“Ѐ la   «suora del miracolo» !”

Luisa ha un moto d’impazienza, e poi si blocca. Ecco cosa ci vorrebbe: un miracolo su ordinazione… I medici l’hanno detto e ripetuto: solo un miracolo può salvarlo. Solo un miracolo… E allora, perché no?

“Papà… Dille se può chiederne un altro!”

Poi letteralmente scappa fuori, sconvolta.

Mio padre, gli occhi lucidi, riprende a parlare con Suor Matilde. Sua figlia Luisa ha appena espresso una richiesta importantissima: che le sorelle preghino per la salvezza di un suo amico e collega, che sta morendo.

13.

La preghiera

Non appena il telefono viene riagganciato, Suor Matilde, senza neppure riprendere fiato, fa un’altra telefonata. Pochi minuti dopo, la sua interlocutrice chiamerà a sua volta due, tre persone. E queste a loro volta alzeranno il ricevitore e comporranno uno, due numeri di telefono. Altre chiamate seguiranno, e in breve saranno dieci, cento, mille. Ѐ una vera e propria reazione a catena. Lungo il filo del telefono corrono poche notizie essenziali: il nome di battesimo del malato, Salvatore; il suo stato di coma profondo, per il quale i medici non danno alcuna speranza di risveglio. Le sorelle non hanno bisogno di altri dettagli. Ѐ fin troppo facile immaginare un uomo in fin di vita, chiuso in un silenzio che nulla può spezzare.

I grilli della sera iniziano a cantare la loro canzone. Le sorelle sanno come si prega con cuore puro, per qualcuno che non conoscono e non conosceranno mai.

Mi piace pensare che quella sera il globo terrestre, visto da un osservatore che si trovi nello spazio, appaia punteggiato di piccole luci accese nell’oscurità. Sono le voci dei grilli del crepuscolo. Sono le preghiere per Salvatore Casciaro.

14.

Una strana cronologia

In quei giorni sta per compiersi un grande evento: la beatificazione di Agostino Roscelli, proprio in virtù del “miracolo dello spillo”.

Si attende solo il documento ufficiale, scritto dal Papa; ma si è già certi della vittoria.

La proclamazione è prevista entro pochi mesi.

Ed ecco che, quasi intempestivamente, una nuova richiesta viene presentata al “povero prete”.

I burocrati della Chiesa potrebbero dirvi che, in linea di principio, un secondo miracolo prima della beatificazione non verrebbe preso in considerazione per un’eventuale santificazione.

Ma questi discorsi suonano assurdi!

La situazione è tale che, ora, sono la gioia e la gloria, per quanto legittime, ad apparire intempestive.

Piazza San Pietro aspetterà, le folle esultanti aspetteranno.

Salvatore Casciaro giace nel suo letto di dolore, e al Centro Trapianti attendono il momento opportuno per chiedere ai suoi cari il consenso per l’espianto degli organi.

I nostri protagonisti sono chini sul letto di un uomo che si sta spegnendo.

Solo per caso qualcuno alza la testa, guardando verso il cielo, e chiede l’aiuto di Agostino Roscelli.

15.

Cuore puro

E Dio ascolta, dietro le nuvole. Ascolta i grilli del crepuscolo… Ascolta la voce sommessa del Suo prete, che a giorni verrà elevato alla gloria degli altari, e che a Lui rivolge sempre lo stesso sguardo, mite e buono. Ascolta la voce di Luisa, disperata e piena di sfida. Che fa, secondo voi? Accetta la sfida? Io non credo che sia questo ciò che avviene. La disperazione di Luisa grida più forte della sfida.

Io credo che Dio, come tutti i genitori, ami in modo particolare quei figli indipendenti, che non chiedono mai niente per sé, che tentano sempre di cavarsela da soli, e che quando chiamano, lo fanno unicamente per il piacere di sentire la voce di papà. Così, quando poi accade che chiedano qualcosa, papà si fa in quattro per accontentarli.

16.

Rosaria cede il suo posto

“…Emboli gassosi che devastano il cervello…

… Notte giorno notte giorno notte…

La ferita aperta in questa stanza. La morte di nostro padre, mai rimarginata.

Oh, fratellone… Mi hanno convinto ad andare a casa. Ci sono la mamma e Maria Teresa. Dicono che devo farmi da parte: anche loro hanno il diritto di starti vicino, nell’unico modo che a noi è ancora concesso.

Mentre mi allontano, nostra sorella mi bisbiglia che dobbiamo iniziare a preparare la mamma all’inevitabile.

Lei, vedi, non si rende conto della situazione. E neppure io, quanto a questo. Io sono un medico, eppure non riesco a credere che morirai. Io so e sento che ti vedrò ancora sorridere, parlare con me. Dobbiamo tenere duro.”

17.

Franca chiama il prete

“Mi vedo agire come se fossi una spettatrice, all’esterno del mio corpo. Sento che è il nostro bambino che mi dà la forza di continuare. Ieri ho letto che il nome Gabriele significa “forza di Dio”. Adesso so che il bambino lo chiameremo così.

Mi vedo telefonare al prete perché venga a prepararti per il tuo ultimo viaggio. Io non riesco a credere che partirai! Mentre lui si siede accanto a te e ti parla dolcemente, ti massaggio i piedi.

Poi restiamo soli e, per la prima volta da quando siamo insieme, mi arrabbio con te. Alzo la voce. Non vuoi tornare indietro? Non vuoi proprio? Allora non crederò mai più alle tue promesse! Hai detto che volevi invecchiare al mio fianco, e invece mi lascerai sola? Devi tornare, mi hai sentito? Torna, ti prego, torna… Non mi stancherò mai di chiedertelo!

Torna per me, torna per Gabriele!

Cosa faremo senza di te?

D’un tratto, la rabbia svanisce. Prendo la tua mano e la poso sul mio ventre. Il bambino è molto agitato, non smette un istante di scalciare. Di certo, è stremato quanto me. Forse stasera andremo un po’ a riposare, tutt’e due.

Siamo tornati a casa, per questa notte. Ѐ tardissimo. Ho telefonato ad Antonio, l’infermiere che ti veglia, e gli ho chiesto di darti un bacio da parte mia.”

18.

Coincidenza di eventi

La sera del 9 febbraio la preghiera ha inizio. E subito accade un fatto semplice, silenzioso: la febbre di Salvatore scompare.

Può sembrare una coincidenza; però questo fatto colpisce, e difatti ricorre spesso nei racconti dei testimoni. Il miglioramento di Salvatore Casciaro inizia a manifestarsi immediatamente dopo l’inizio della novena promossa dalle suore Immacolatine per chiedere la sua guarigione.

Si tratta della sera in cui, per un’altra misteriosa coincidenza, sia Franca che Rosaria sono tornate a casa per concedersi qualche ora di riposo.

Ricordiamoci che, in quel momento, le uniche medicine che gli vengono somministrate servono a evitare convulsioni, movimenti da decerebrazione: in breve, servono a evitare che le condizioni del paziente peggiorino.

Non sono state messe in opera altre terapie. Non è previsto un risveglio.

19.

Due telefonate

“Stamane, mentre ero a casa, ha telefonato uno dei medici che si occupa del tuo caso. Mi ha detto semplicemente: «Franca, si è svegliato!»

Sono corsa da te. Aprivi gli occhi, quando il medico ti chiedeva di farlo. Per rispondere di sì, mi hai stretto la mano.”

Un suono prolungato interrompe il sonno agitato di Rosaria. Lei afferra il ricevitore.

“Maria Teresa, che succede?”

“C’è un miglioramento. Salvatore reagisce agli stimoli dolorosi.”

20.

A proposito di miracoli

“…Un miracolo (dal latino miraculum = cosa meravigliosa, e miràri = meravigliarsi) è un evento straordinario, che avviene al di fuori delle leggi della natura, o nel quale le leggi naturali appaiono sospese, per intervento soprannaturale o divino…”

“…Nel Vangelo sono numerosi i miracoli operati da Gesù: di solito si tratta di guarigioni da mali fisici e spirituali…”

 “…La Chiesa cattolica esige l’attestazione di due distinti eventi miracolosi come presupposto per la causa di canonizzazione dei santi…”

“…Ai nostri giorni, l’indagine che la Chiesa compie per accertarsi della verità di un miracolo si basa su di un’attenta analisi, fatta da una commissione medica indipendente, che verifica se il caso in esame sia o meno spiegabile con le moderne conoscenze mediche…”

“… In caso di responso negativo si valutano le circostanze dell’evento, per vedere se sono compatibili con un intervento divino: ad esempio se, in concomitanza con l’improvvisa guarigione, vi fossero delle preghiere per ottenere tale grazia…”

“…La definizione stessa di miracolo, come intervento fuori dalla natura e soprattutto non riproducibile, si pone implicitamente al di fuori dell’ambito dell’indagine scientifica…”

(da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

21.

I gradini del risveglio

10 febbraio

Le condizioni di Salvatore Casciaro sono sostanzialmente invariate, tranne che per la scomparsa della febbre.

11 febbraio

La cartella clinica documenta che “il Paziente risponde agli ordini semplici e agli stimoli dolorosi.”

13 febbraio

Alle ore 7 viene annotato: “Continua miglioramento neurologico. Paziente più sveglio, a intervalli mantiene gli occhi aperti spontaneamente. Risponde a comandi semplici e risponde con cenni del capo anche a frasi più complesse.” Ricompaiono i riflessi a entrambi gli arti inferiori. All’arto superiore destro ritornano i movimenti finalizzati; all’arto superiore sinistro ricompaiono i riflessi muscolo-tendinei, ma non l’attività motoria.

14 febbraio

“Il Paziente risponde adeguatamente a ordini semplici e complessi; è orientato, accenna a risposte verbali.”

15 febbraio

“Alle ore 11 il Paziente esce dal reparto di Terapia Intensiva e rientra in unità coronaria. Ѐ ancora soporoso ma risponde adeguatamente agli stimoli verbali.”

22.

Le parole dei protagonisti

Salvatore:

“Quando mi sono svegliato dal coma, mi sembrava impossibile di essere stato così male, di aver sfiorato la morte. Per cui ero in uno stato d’animo di rabbia reattiva. Non ricordavo nulla dell’infarto. Non mi chiedevo neppure il perché dell’emiparesi, pensavo solo a come recuperare.”

Rosaria:

“Pochi giorni dopo il risveglio mio fratello era già uscito dalla rianimazione. Per noi familiari era già fantastico in sé il fatto che non fosse più in pericolo di vita. Della riabilitazione ci saremmo preoccupati più tardi. Ora eravamo soltanto in grado di gioire per lo scampato pericolo.”

Franca:

“Anche se la ripresa è stata durissima, eravamo tutti meravigliati che fosse presente e lucido. Si è svegliato completamente paralizzato. Poi la destra è migliorata immediatamente, nel giro di poche ore; la sinistra era rimasta come morta. Ci sarebbero voluti mesi per il recupero. Ma ciò che più mi ha colpito di quelle prime ore è stata la sua piena lucidità, riacquistata senza alcun deficit: alla visita dei colleghi medici rispondeva con i termini tecnici, con esattezza. Dal punto di vista intellettivo, era come se si fosse semplicemente svegliato dal sonno.”

Luisa:

“Quando sono andata a trovarlo, la prima volta dopo il suo risveglio dal coma, Salvatore mi è parso in condizioni ancora pessime. Era pieno di tubi, flebo e monitoraggio, non poteva neppure parlare. Era scioccante pensare che stava già molto meglio di prima! Ma  nei giorni successivi il miglioramento è stato inarrestabile e sempre più evidente. Basti pensare che pochi mesi dopo, alla nascita di suo figlio, Salvatore era in piedi e ha assistito al parto. In settembre era presente al mio matrimonio, ormai perfettamente guarito. Aveva ripreso il suo lavoro in ospedale: della paralisi a sinistra non rimaneva che qualche esitazione – che sarebbe in seguito completamente scomparsa.”

23.

Le parole dei testimoni

Il prof. Giovanni Regesta, primario di neurologia dell’ospedale San Martino:

“L’evoluzione del caso così rapidamente favorevole, mai constatata nella mia esperienza professionale e neppure nella letteratura medica, non risulta spiegabile tenuto conto delle condizioni cliniche e delle alterazioni strutturali di partenza.”

Il prof. Franco Henriquet, primario di anestesia e rianimazione all’Ospedale San Martino, al tempo dichiaratamente ateo:

“In effetti nel riscontro della ripresa della coscienza ho avuto la sensazione che fosse avvenuto qualcosa di miracoloso.

Il dottor. Andrea Venturini, medico specialista in tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio:

“Ritengo che si tratti di una guarigione straordinaria e senza precedenti.”

Mi limito qui a citare tre testimoni medici, a causa dell’incisività e della sicurezza delle loro affermazioni. Ma ve ne sarebbero molti altri.

24.

Fa paura

Di tutte le testimonianze che ho raccolto, mi ha colpito la scarsità di ricordi di Salvatore Casciaro. E, a parte il coma, credo di capire il perché del suo grande vuoto di memoria.

Fa paura parlare della morte. Fa paura parlare di una malattia grave, di un coma ritenuto irreversibile, dei medici che attendevano il momento opportuno per chiedere ai tuoi cari l’espianto dei tuoi organi, del tuo cuore, dei tuoi reni…

Ѐ come viaggiare in una terra ignota, da cui nessuno è mai tornato. Una terra buia, illuminata dai lampi del dolore; una terra infida, scossa dai tremiti del terrore.

Una terra che io, che Salvatore, che noi tutti dovremo attraversare prima o poi.

Perciò anche le domande che portano in questo luogo ci spaventano, ed è difficile rispondere.

25.

Perché?

Ma c’è una domanda che nessuno riesce a far tacere.

Contro di lei, la paura non può nulla.

Viene a noi, portata dalle voci di milioni di esseri un tempo vivi, che ci hanno preceduto nella morte. Viene a noi, portata dalle voci di tutti coloro che hanno perduto una persona amata.

Ѐ una domanda senza risposta: né per Salvatore Casciaro, né per chiunque altro.

Perché?

Perché proprio lui è stato miracolato? Perché quel concorso di circostanze, la telefonata di Suor Matilde, la reazione di Luisa? Perché una preghiera, che Salvatore non si sarebbe mai sognato di chiedere, gli ha ridato la vita?

Perché altri, invece, non si sono risvegliati, e sono andati fino in fondo al loro precipitare?

26.

Se lo capisci

Dice Sant’Agostino:

“Si comprehendis, non est Deus.”

Se lo capisci, non è Dio.

Dio è incomprensibile. Ma questo suo mistero insondabile ci circonda, si estende dovunque, davanti ai nostri occhi.

E noi siamo qui. Per vedere. Per riflettere. Per lottare o per arrenderci. Per chiedergli una risposta, per chiederla a noi stessi.

Con che criterio Tu, Dio sconosciuto, scegli i beneficiari dei tuoi miracoli?

Come sapere se, nel momento del pericolo, verrai a salvarci, o ci lascerai cadere?

Un evento come questo può cambiare la vita di chi vi ha assistito. Alcuni dei protagonisti e dei testimoni di questa vicenda hanno sperimentato questa trasformazione. Altri hanno lasciato che le loro vite continuassero a scorrere come prima.

Spesso, nella nostra dimensione umana, neppure vedere il volto di Dio può cambiarci radicalmente.

Ma neppure questo può rispondere alla nostra domanda.

27.

La santificazione

Facciamo un balzo in avanti nel tempo.

Ci sarà, sei anni dopo, una folla intorno a San Pietro, in una calda giornata primaverile, in uno sventolare di fazzoletti bianchi e azzurri.

Ci saranno i nostri protagonisti e i nostri testimoni, stretti in mezzo alla moltitudine, intorno all’altare, simili a se stessi eppure mutati per sempre, nel profondo, da quanto è accaduto.

Ci saranno Salvatore e Franca: ma non saranno più due, saranno tre. Avranno con sé il piccolo Gabriele, che porterà al Santo Padre, Giovanni Paolo II, una scatoletta di mentine al rosolio.

Ci sarà suor Matilde, defilata in mezzo al gruppo delle suore.

Accanto ai miei genitori ci sarò anch’io, con uno dei miei bimbi ormai cresciuti, un ragazzo di quindici anni, ormai più alto di me.

E in questa splendida celebrazione della vita e del mistero che l’avvolge, ci sarà il ritratto di Agostino Roscelli che sovrasta la piazza, Santo tra i Santi.

28.

Ipotesi

Neppure questa scena che ho, ben nitida, davanti agli occhi, risponde alla domanda più bruciante: perché a Salvatore Casciaro fu ridata la vita?

Un’ipotesi esce spesso allo scoperto tra i miei pensieri, e non smette mai di ripresentarsi, insistente.

Non faccio che ricordare quei sentimenti di  preoccupazione per gli altri che hanno animato i “nostri” protagonisti nei momenti cruciali…

Ogni volta, la preghiera è nata da un cuore puro e altruista.

Vedo Suor Matilde che, in attesa dell’intervento, pensa ai suoi allievi e non a se stessa.

Vedo Salvatore che, sull’orlo della morte, si preoccupa per i suoi pazienti.

Vedo Luisa che si dispera per Salvatore, allieva e amica disinteressata.

I loro pensieri, le loro preghiere sono come frecce infuocate.

Parte una prima preghiera. Ѐ la voce di Luisa, rabbiosa e forse sfiduciata, ma senza una briciola di egoismo. Una prima freccia che parte verso Dio.

Parte una seconda preghiera, quella di Suor Matilde, che dà origine a molte altre voci.

Le frecce infuocate ora sono dieci, cento, mille. Volano alte, scompaiono alla nostra vista.

Colpiscono il bersaglio, lassù dietro alle nuvole, e il Cielo si incendia.

Marilena Guglielmi

SINTESI BIOGRAFICA

Il 27 luglio 1818  Agostino Roscelli nasce a Bargone di Casarza Ligure, Diocesi di Chiavari, da Domenico e Maria Gianelli.

Il 30 agosto dello stesso anno, nella Chiesa parrocchiale dedicata a S. Martino di Tours, vengono supplite le cerimonie del Battesimo, già ricevuto in casa il giorno della nascita.

Il 24 novembre del 1833 viene cresimato nella Chiesa parrocchiale di Casarza Ligure.

Nel 1835 si trasferisce a Genova per iniziare gli studi preparatori al Seminario.

Il 12 giugno 1836  riceve a Genova la sacra Tonsura e i primi due Ordini minori.

Nel 1838 presta il servizio militare, alla fine del quale continua gli studi.

Nell’ottobre del 1843 viene regolarmente iscritto al Seminario di via Porta degli Archi in Genova come alunno esterno, risiedendo, in qualità di prefetto, nel Collegio dei Gesuiti fino al 1845.

Nel 1845 riceve il congedo militare assoluto «avendo intrapresa la carriera ecclesiastica».

Il 2 marzo gli vengono conferiti i due ultimi Ordini minori.

Il 20 settembre è ordinato Suddiacono.

Il 19 settembre 1846 viene ordinato Sacerdote a Genova da S. E. il Cardinal Placido Maria Tadini.

Nel 1847 è addetto, come Curato, alla Parrocchia di S. Martino d’Albaro in Genova.

Nel 1854 è assegnato alla Chiesa della Consolazione sulla via omonima.

Nel 1855 si stabilisce nell’Istituto degli Artigianelli, fondato da Don Francesco Montebruno, in via Mura di S. Chiara n° 42 in Genova, in qualità di catechista, assistente dei ragazzi ed economo.

In questo periodo svolge anche il delicato ruolo di Direttore spirituale e di predicatore presso alcuni Monasteri femminili della zona di Carignano e continua ad assolvere l’impegnativa missione di confessore presso la Chiesa della Consolazione ove può rendersi sempre più conto di quanto sia urgente agire in difesa di tante giovani insegnando loro un lavoro dignitoso, degno della donna e retributivo. 

Nel 1864, grazie alla generosa collaborazione di alcune sue giovani penitenti, appartenenti alla Congragazione di S. Angela Merici, apre la prima Casa-Laboratorio per ragazze in via Colombo 5, Genova, alla quale nel 1868 fa seguito una seconda, situata al n° 71 di Borgo Lanieri.

Nel mese di marzo del 1870 si ammala gravemente, ma il giorno 14 dello stesso mese si ritrova prodigiosamente guarito per intercessione di S. Giuseppe.

Nel 1872 accetta l’invito di prestare servizio come assistente spirituale delle Carceri di Sant’Andrea, presso Porta Soprana e il 6 febbraio si iscrive alla Compagnia della Misericordia di Genova per l’assistenza ai condannati a morte.

Nel 1874 inizia l’attività di Cappellano presso il Brefotrofio cittadino, di via Gropallo in Genova.

Il 15 ottobre del 1876, con la benedizione apostolica del Sommo Pontefice Pio IX, fonda l’Istituto delle Suore dell’Immacolata nella nuova Casa di via Volturno 5, in Genova, ove egli stesso prende alloggio.

Da questo momento, Don Agostino Roscelli, conduce, consolida e dilata il suo Istituto, tanto che le Case da lui fondate a Genova, nell’entroterra ligure ed in Piemonte, raggiungono il numero di ventidue tra Scuole, Collegi, Asili e Ospedali. Nel contempo continua ad assolvere i vari incarichi ministeriali a lui affidati ed attende ad elaborare scrupolosamente le Costituzioni delle Suore dell’Immacolata che ottengono l’approvazione “ad experimentum” da S.E. Mons. Salvatore Magnasco, allora Arcivescovo di Genova, nel 1891.

Nel 1896 abbandona ogni attività fuori Casa, perché ormai quasi completamente cieco, ma continua a dirigere l’Istituto da lui fondato.

Nel 1898 costretto quasi definitivamente al letto, si trasferisce nella Casa Generalizia di via Lavinia in Genova.

Il 7 maggio del 1902 Don Agostino muore santamente nella Casa di via Lavinia, mentre le campane di San Francesco d’Albaro annunciano i primi Vespri dell’Ascensione del Signore al cielo.

 

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