In un mondo di violenza, nel quale è difficile educare ai volti di pace, solidarietà, rispetto reciproco, vogliamo rispondere ad alcune domande emergenti su questa tematica:
- Perché tanta “violenza”?
- Come educare i vostri figli ad un comportamento capace di assumere un atteggiamento critico e corretto nei confronti della violenza?
- Quali modelli proporre?
La risposta a tali domande è affidata a Don Valentino Porcile, alla Dott. Burlando e alla Dott. Buscaglia, come esperti nei vari settori, che ci offriranno la loro esperienza.
La violenza: come leggere criticamente questo fenomeno così grave
Nell’Aula Magna dell’Istituto Scolastico di Piazza Paolo Da Novi,11 in Genova, si è svolta una tavola rotonda sul tema “La violenza: come leggere criticamente questo fenomeno così grave”.
Gli interventi dei tre relatori hanno introdotto l’argomento esaminandolo sotto diversi aspetti.
Don Valentino Porcile, Parroco di Cornigliano, ha posto in rilievo la dinamica della crescita: il ragazzo si sente spinto fortemente del bisogno di eccellere, di essere protagonista, e di avere dei riferimenti, delle persone alle quali assomigliare. Il ragazzo quindi cerca di eccellere nell’assomigliare a colui che ha scelto come riferimento, come guida. Se un ragazzo allora assume un atteggiamento aggressivo e si comporta da prepotente, la ragione potrebbe essere proprio qui: sta cercando di somigliare a qualcuno, ovviamente un adulto, che si comporta in modo violento. L’adulto aggressivo è protagonista, perché gli altri devono sottostare a quello che lui dice e fa, così anche il ragazzo, imitando comportamenti aggressivi, sarà protagonista fra i suoi coetanei. Bisogna però tenere conto del fatto che l’aggressività non è qualche cosa da reprimere, perché nulla di ciò che è in noi è reprimere, ma da gestire, da incanalare; per questo sono fondamentali le regole. Una regola non è proibizione, ma un argine che contiene la forza di un fiume in piena, affinché questa stessa forza non provochi danni, ma possa essere usata per ciò che è positivo. Allo stesso modo, è sempre da evitare la confusione dei ruoli: l’educatore, il genitore, il professore sono chiamati a vivere le loro relazioni con i ragazzi sempre con cordialità, con affetto, con amicizia; ma la confidenza non deve far perdere la struttura del rapporto educativo: questo sarebbe il male del ragazzo, che si troverebbe senza un punto di riferimento forte e positivo. Il ragazzo che cresce ha bisogno non tanto di essere interrogato sul “perché” ha fatto qualche cosa, ma di essere aiutato a rendersi conto di “cosa” ha fatto, di trovare chi abbia il tempo di ascoltarlo, di accompagnarlo, del trovare i “perché” di certi comportamenti.
La Dottoressa Buscaglia, neuropsichiatra infantile, ha cercato di mostrare le origini di un comportamento aggressivo: è il sintomo di un malessere interiore che il bambino vuole allontanare. Questo malessere può formarsi addirittura nei primissimi mesi di vita: già appena nato, vive l’angoscia di essere abbandonato e di non riuscire a sopravvivere, perché non ha più la presenza costante della mamma e del cibo come quando era nel grembo materno; la mamma coglie questi tensioni, si identifica con il suo bambino, e risponde al suo bisogno di affetto e di cibo; in questo modo restituisce al bambino i suoi stessi sentimenti, ma “bonificati” della sua azione materna. Gli specialisti chiamano questo processo “contenimento”: esso è fondamentale perché il bambino compia esperienze positive e costruisca dentro di sé la fiducia che le angosce e le difficoltà possono essere superate. Se invece questa preziosa dinamica non si sviluppa, il bambino si sentirà solo con le sue tensioni e cercherà in tutti i modi di farle uscire, scaricandole sugli altri; tuttavia queste manifestazioni di aggressività, che sono diverse secondo le età del bambino, gli daranno un sollievo solo momentaneo. Cosa si può fare? Se si riesce a lavorare con i genitori, o se addirittura sono proprio loro a chiedere un aiuto specialistico, si può fare molto. L’obiettivo deve essere ricostruire la dinamica felice fra genitori e bambino, e per questo bisognerà analizzare cosa vivevano loro quando il bambino era piccolo; le cause di un malessere sono tantissime, ma l’effetto è sempre uguale: l’aggressività.
La Dottoressa Angela Burlando, ex Vicequestore, ha poi illustrato l’aspetto della legalità; il ragazzo, risponde civilmente e penalmente delle sue azioni già dai 14 anni; tuttavia, quando è minorenne, le leggi penali tendono più al suo recupero che alla detenzione. In ogni caso occorre formare alla legalità, al rispetto delle regole, e soprattutto insegnare che, al di là di ogni intervento legislativo, i danni devono essere recuperati. La dottoressa si è mostrata particolarmente soddisfatta dei ragazzi di terza media, che in un precedente incontro hanno dimostrato di sapere comprendere questi temi e riflettervi sopra.
È stata data poi attenzione, nell’ultimo intervento, e nel vivace dibattito che ne è seguito, alla dinamica del gruppo. Quando si compie qualcosa di sbagliato insieme ad altri, ci si sente meno responsabili, mentre invece il fatto è ancora più grave, perché vi sono più persone coinvolte. La cosa migliore in questi casi è che siano i ragazzi stessi, dall’interno del gruppo, a non tacere, a rompere il muro del silenzio, con coraggio e prudenza, e a chiamare le cose con il loro nome. In ogni caso l’educatore deve intervenire indicando lo sbaglio con serenità, ma anche con fermezza; soprattutto deve riuscire a mostrare al ragazzo la sua responsabilità, ma anche la possibilità di continuare a camminare insieme, senza lasciarlo solo.
Sr. Maria Germana