LE DIVINE ISPIRAZIONI
(Seconda Istruzione)
Considerato nell’ultima istruzione il rischio a cui si espone chi non risponde a tutte le divine ispirazioni, cioè a quelle grazie attuali prevenienti, come le chiamano i teologi, a quelle pie mozioni, a quei soccorsi divini dei quali Dio, qual tenerissimo Padre, tutto sollecito per il bene dei suoi figli, si mostra largo verso di noi per invitarci, se siamo peccatori, a riconciliarci con Lui e a farci avanzare e crescere nella virtù se già siamo forti e forniti della grazia santificante; considerato il rischio di chi non risponde a queste voci divine che è quello di rompere, come dicemmo, il filo della nostra predestinazione anche trascurandone una sola, tutti vorremmo aprire il cuore alla voce del Signore, perché a tutti è cara la salvezza dell’anima propria. Non basta, però, rispondere a tutte le ispirazioni di Dio dalle quali dipende l’eterna nostra salvezza; bisogna rispondere subito, con prontezza, perché il tardare mette in pericolo l’anima nostra e, molte volte, il non rispondere sùbito è non rispondere mai. Ecco ciò che devo mostrarvi oggi, per completare il tema che vi ho proposto l’ultima volta.
Vi sono certe anime che non si possono dire sorde alla voce di Dio, perché queste voci le sentono; neppure si possono dire ostinate, perché non rigettano queste voci divine, anzi, vogliono tenersi in una sincera disposizione di animo a seguire l’impulso che le stimola alla perfezione, ma sono lente, irresolute, indecise, non si determinano mai ad aprirsi a Dio che batte e grida alla porta del loro cuore e, se non gli chiudono proprio l’uscio in faccia, lo fanno però attendere a lungo. Ebbene, che ne avviene? Avviene d’ordinario quello che successe alla sposa dei sacri Cantici. Udite: essendo già da qualche ora inoltrata la notte, ella si era addormentata, quand’ecco, all’improvviso, uno strepitoso bussare alla porta; a questo impensato strepito, ella si sveglia e ode una voce che chiama.
Si accorge che era la voce del suo Diletto e ne distingue anche le parole. Non gli manda a dire che se ne vada perché non è quello il tempo di aprire ad alcuno, solamente le rincresce alzarsi dal letto e tra sé dice: «La notte è scura, la stagione è rigida, è poco tempo che mi sono coricata, dovrò già alzarmi? Così la tira in lungo, poi finalmente si alza per aprire al diletto, ma ahimè! Troppo tardi: stanco del lungo aspettare, già era partito e si era rivolto altrove. Chi non vede nella lentezza di questa sposa, trascurata nell’arrendersi alla voce del Diletto, raffigurata al vivo la negligenza, la trascuratezza di certe anime nel rispondere alle ispirazioni di Dio?
Quella suora avrà sentito più di una volta l’ispirazione di moderare le chiacchiere, le visite, le corrispondenze. Meno conversazione, si sente dire al cuore, meno chiacchiere e più raccoglimento, più serietà, più devozione. Questa è voce di Dio – vox dilecti pulsantis -; dunque, si deve obbedire, ma le rincresce starsene ritirata, teme di diventare malinconica, quindi lascia picchiare, seguita a dissiparsi, riservandosi di rispondere a Dio più tardi, quando non ci sarà più quell’occasione.
Quell’altra si sente ispirata a negare la sua volontà, a leggere quel libro buono, a fare un po’ di meditazione da sola nella propria stanza, a passare in rassegna, almeno alla sera, con un buon esame di coscienza, tutte le azioni del giorno, gli affetti e le inclinazioni del cuore, il fine delle sue azioni, per vedere se sono conformi agli esempi di Gesù Cristo e allo stato di una vera religiosa: è la voce di Dio – vox Dilecti pulsantis -; conviene dunque farlo, ma non ne ha voglia: il sonno e il tedio la sorprendono, quindi dice: lo farò un’altra volta, e intanto lascia che il Diletto aspetti.
Un’altra si sente stimolata a tacere in quell’incontro, a negare la propria volontà e a sopportare pazientemente quell’affronto che le è stato usato, o sgarbatezza di cui fu oggetto, ad imitazione di Gesù Cristo che, offeso e disprezzato, taceva con santa umiltà, quantunque avesse buone ragioni da addurre, ma teme che, tacendo, diverrà lo zimbello e la burla della comunità, e dice tra sé: «Voglio dire la mia ragione, tacerò un’altra volta», e il Diletto aspetta.
Un’altra ancora sentirà dirsi internamente: «Figlia, sta forse bene ingerirsi nei fatti altrui, interpretare in malo modo le azioni del tuo prossimo, raccontare i difetti e le debolezze veduti in altri, farne oggetto di discorsi tra voi? Questo è mancare apertamente alla carità e alla giustizia, che vuole il rispetto per tutti e che si coprano i difetti con santa dissimulazione. Nemmeno sta bene occuparsi di faccende di mondo, il parlare continuamente disturba lo spirito, dissipa il cuore e
molto disdice ad una persona religiosa, la quale non deve tendere ad altro che a perfezionare se stessa, servendo Dio nell’esercizio di ogni virtù, senza guardare né a destra né a sinistra per vedere che cosa fanno gli altri. Questa è vera ispirazione, è voce di Dio che ci chiama all’osservanza dei più essenziali doveri di una persona religiosa: vox Dilecti pulsantis.
Ma – si dirà – non intrigarsi in niente sa troppo di bigottismo, vivere così solitari non sta bene, qui tutte fanno così, mi mortificherò più tardi, ora lasciamo un po’ andare; intanto lo Sposo sta aspettando. Ditemi voi: che cosa si possono aspettare queste anime così trascurate nel rispondere alla divina chiamata se non che Iddio faccia silenzio con loro, si allontani dal loro cuore, se ne parta e le abbandoni, così che quando vorranno cercarlo non lo trovino più? Lo cercarono, ma Egli era partito.
Questo è, certo, il pericolo a cui si espongono, perché, sentitemi bene, se noi fossimo certi che, non ascoltando subito le dolci ispirazioni, Iddio volesse persistere a chiamarci e che, partito da noi, poi ritornasse, pazienza; ma chi ci assicura che Egli ritorni ancora? Può essere che se ne vada e più non torni a chiamarci un’altra volta. Nelle scritture trovo che tre diverse maniere usò il Signore per parlare con le sue creature. La prima fu là nel paradiso terrestre, quando fece risuonare la sua voce divina all’orecchio di Adamo e di Eva: la fece risuonare passeggiando tra le ombre di quel delizioso giardino, cioè nell’atto, come spiega Ugo di San Vittore, nell’atto di camminare su e giù, di partire e di ritornare, di andare e di volgersi indietro, ora vedendo, ora ascoltando. Questo esprime il modo che Dio tiene con alcuni, secondo il progetto adorabile, a noi ignoto, dei suoi profondi e imperscrutabili giudizi. Allontanato Dio una volta, nelle sue ispirazioni, parte, ma poi ritorna; non ascoltato, si ritira, ma riappare; va e ritorna, e fa sentire le sue voci.
La seconda maniera fu là vicino al pozzo di Sicar. Voi, qui, vedete Gesù, stanco del cammino e accaldato dal sole, polveroso, assetato, aspettare la Samaritana che venga a prendere acqua. Finalmente questa arriva e, col domandarle da bere, apre il discorso con lei. Gesù, ricevuto sulle prime con mal garbo, non si offende, ma sostiene con dignità e disinvoltura il parlare scortese e la più scortese ripulsa. Conoscendo la donna per superba e altera, si serve di questi stessi difetti per tirare più in lungo il discorso.
Mette in campo punti sublimissimi di religione e di teologia, per meglio suscitare la sua curiosità. Risponde ai vari quesiti che questa gli propone, passa da un argomento all’altro, la vince, la persuade e la converte. Questo esprime il modo affatto diverso che Dio terrà con altri dai quali, accolto dapprima malvolentieri, non si ritira, ma si ferma alla porta del loro cuore e seguita a battere, a chiamare, perseverando, talvolta, immobile per lunghi giorni, mesi ed anni, non allantonandosi mai, finché non gli viene finalmente aperto.
La terza maniera fu là sulla spiaggia del mare di Genezaret, quando Gesù chiama alla sua sequela gli Apostoli; ivi non si ferma come fece con la Samaritana, né va e torna come fece con Adamo ed Eva, ma va e passa. Vede due fratelli, Simone e Andrea, in atto di gettare le reti in mare: «Venite dietro a me – dice loro -che vi farò pescatori di uomini». Ciò detto, continua il cammino. Poco dopo, si imbatte in due altri fratelli, Giacomo e Giovanni, che stavano all’ombra, rassettando le reti: «Seguitemi», dice e continua il suo viaggio. Poco dopo si incontra con Matteo, seduto al suo banco e, miratolo fisso, gli dice: «Matteo, seguimi»; passa e va innanzi.
A questo punto, tutto intenerito, io esclamo con Sant’Agostino: «Sì, vi seguirò nella via della virtù, ma temo molto la vostra velocità mentre passate e andate avanti – timeo Deum transeuntem – ».
Ora, o mie suore, chi ci assicura che non sia questo il modo che Dio tiene con noi nel chiamarci? Verrà il Signore, sì, verrà e forse è già venuto, e forse farà risuonare al nostro cuore la sua divina parola: ci chiama, ci parla e voi sapete di che? Ci dice che lasciamo di malignare il nostro prossimo, ricordandoci di quei due grandi precetti: non fare e non dire ad altri ciò che non vorremmo fosse fatto o detto a noi; di trattarlo, al contrario, come vorremmo essere trattati noi, se ci trovassimo in quella stessa circostanza. Che ci compatiamo l’una con l’altra nelle nostre debolezze portando a vicenda i nostri pesi e aiutando ehi è debole per adempiere così, dice san Paolo, la legge di Gesù Cristo, che è legge di carità e di amore. Così faceva santa Maria Maddalena de’ Pazzi che, pur essendo di sangue nobile, come testimoniò la sua Madre Abbadessa, era sempre in giro ad aiutare le altre suore nei loro lavori: lavare i piatti, portare acqua nelle stanze, servire le inferme, al punto che si diceva che lavorava più lei di quattro suore e tutto faceva per diminuire e alleggerire la fatica alle consorelle, ad esempio di Gesù che, pur essendo Signore dell’universo, venne al mondo non per essere servito, ma per servire.
Lo so che al giorno d’oggi in certe comunità religiose l’umiltà e la carità di Gesù Cristo sono tanto diminuite che, quasi, può dirsi non ve ne siano più vestigia. Guai se in queste comunità una religiosa facesse le cose che dovrebbero fare le altre consorelle! Si sa benissimo rimproverare le consorelle se non hanno fatto in tempo a fare il loro dovere, ma aiutarle nei loro uffici e compatirle, questo no. Anzi, si mormora e si critica: ma dov’è la carità umile di Gesù Cristo? Io vorrei dire a costoro, se mi trovassi a parlare con loro, che in religione non si viene per essere servite, ma per farsi sante e che a tal fine ci vogliono opere di umiltà e di carità.
Noi, infatti, udiamo che tutte le persone religiose di santa vita aborrivano ogni vanto, ogni atto di superbia e che quanto più erano distinte per nascita o per ricchezza o per dignità, tanto più si occupavano negli uffici più umili e più faticosi del monastero; santa Francesca Giovanna di Chantal, imbevuta come era dello spirito del grande san Francesco di Sales, voleva che le sue monache si servissero a vicenda con umiltà e carità, dando lei stessa l’esempio di aiutare continuamente le consorelle e voleva anche che fossero ricevute nel monastero le. vecchie e le inferme, affinché tutte avessero un luogo di ritiro, per prepararsi ad essere accolte nel cielo.
Questi esempi, che si possono chiamare altrettante ispirazioni di Dio che ci invitano alla mutua vicendevole carità, li ascoltiamo noi? L’amor proprio e il proprio interesse ci fanno trovare motivi per rifiutarli o, almeno, per non farne caso, giudicando tali cose fuor di proposito.
Vi protesto che non ho nessuna mira, se non il vostro spirituale vantaggio perché vi vorrei tutte sante, tutte unite in santa carità che è il vincolo della perfezione religiosa e mi duole l’animo nel sentir dire che si trova più carità e compassione nelle persone del mondo che nelle religiose. Io parlo chiaro, è vero, forse in modo da non essere gradito a tutte, ma dovrei forse fare come quel chirurgo che, per timore di disgustare l’ammalato, si astiene dal mettere mano alla piaga, di premerla e farne uscire il marcio e così, per falsa compassione, manda l’ammalato alla tomba? No, viva Dio, io non sono tale. Conosciuto il male, devo apporvi rimedio; chi non ne vuol profittare sotto l’uno o l’altro pretesto, peggio per lui; diversamente io tradirei la mia e la vostra coscienza, e renderei vano il mio ministero.
Riassumo tutto il mio argomento e dico che bisogna rispondere a tutte le ispirazioni divine, perché il trascurarne anche una sola espone l’anima al pericolo di eterna dannazione, poiché queste divine ispirazioni formano la catena della nostra predestinazione e, se un solo anello si scioglie, basta a scioglierla tutta e, rotta che sia, Dio potrebbe non volere più riunirla, in pena della nostra trascuratezza. Inoltre bisogna rispondere subito e con prontezza alle ispirazioni per non fare aspettare il Diletto, il quale forse va oltre e non chiama più un’altra volta. Dice infatti il Profeta: «Se oggi sentite la sua voce, non vogliate indurire il vostro cuore». Amen.