Suore dell'Immacolata

Ricordiamo con gratitudine l’immensa grazia della nostra vocazione ad essere memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù” (Vita Consecrata n. 22) e, consapevoli che la sua grazia ci basta (cfr. 2 Cor 12,9), la chiediamo con umiltà e fiducia, per vivere il dono della fedeltà e la gioia della perseveranza.

Siamo unite a tutte le comunità di vita consacrata sparse nel mondo, pellegrine nella stessa terra che ci sostiene e in cui viviamo questa storia che ci interpella con le sue sfide. Dio continua a chiamarci a consacrare la nostra vita nelle diverse espressioni che si completano e si arricchiscono a vicenda, e che sono soprattutto un dono per la Chiesa.

 “ Volevo dirvi una parola e la parola è gioia. Sempre dove sono i consacrati sempre c’è gioia!” 
Dal Magistero di Papa Francesco. 

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.

L’incipit dell’Evangelii gaudium nel tessuto del magistero di Papa Francesco suona con vitalità sorprendente, chiamando al mirabile mistero della Buona Novella, che accolta nel cuore della persona, ne trasforma la vita. Ci viene raccontata la parabola della gioia: l’incontro con Gesù accende in noi l’originaria bellezza, quella del volto su cui splende la gioia del Padre (cf.2Cor 4,6) nel frutto della letizia.

Questa è la bellezza della consacrazione: è la gioia, la gioia…”.  La gioia di portare a tutti la consolazione di Dio. Sono parole di Papa  Francesco  durante l’incontro con i Seminaristi, i Novizi e le Novizie. “ Non c’è santità nella tristezza!”(8) continua il Santo Padre, non siate tristi come gli altri che non hanno speranza,  scriveva San Paolo ( 1Ts 4, 13).

La gioia non è inutile ornamento, ma è esigenza e fondamento della vita umana. Nell’affanno di ogni giorno, ogni uomo e ogni donna tende a giungere e a dimorare nella gioia con la totalità dell’essere.

Nel mondo spesso c’è un deficit di gioia. Non siamo chiamati a compiere gesti epici né a proclamare parole altisonanti, ma a testimoniare la gioia che proviene dalla certezza di sentirci amati, dalla fiducia di essere dei salvati.

La nostra memoria corta e la nostra esperienza fiacca ci impediscono spesso di ricevere le “ terre della gioia” nelle quali gustare il riflesso di Dio.  Abbiamo mille motivi per permanere nella gioia. La sua radice si alimenta nell’ascolto credente e perseverante della Parola di Dio. Alla scuola del Maestro, si ascolta: la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena ( Gv 15, 11) e ci si allena a fare esercitazioni di perfetta letizia.

“ La tristezza e la paura devono fare posto alla gioia: Rallegratevi… esultate…sfavillate di gioia – dice il Profeta ( 66 10). E’ un grande invito alla gioia. Ogni cristiano e soprattutto noi  siamo chiamati a portare questo messaggio di speranza che dona  serenità e gioia: la consolazione di Dio, la sua tenerezza verso tutti. Ma ne possiamo essere portatori se  sperimentiamo noi per primi la gioia di essere consolati da Lui di essere amati da Lui. Ho trovato alcune volte persone consacrate che hanno paura della consolazione di Dio, e si tormentano, perché hanno paura di questa tenerezza di Dio. Ma non abbiate paura. Non abbiate paura, il Signore è il Signore  della consolazione, il Signore della tenerezza. Il Signore è  padre  e Lui dice che farà con noi come una mamma con il suo bambino, con la sua tenerezza. Non abbiate paura della consolazione del Signore”.

 “Nel chiamarvi Dio vi dice: “ Tu sei importate per me, ti voglio bene, conto su di te”. Gesù a ciascuno di noi,  dice questo! Di là nasce la gioia! La gioia del momento in cui Gesù mi ha guardato. Capire e sentire questo è il segreto della nostra gioia. Sentirsi amati da Dio, sentire che per Lui noi siamo non numeri, ma persone; e sentire che è Lui che ci chiama “.

Papa Francesco guida il nostro sguardo sul fondamento spirituale della nostra umanità per vedere ciò che ci è dato gratuitamente per libera sovranità divina e libera risposta umana: Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “ Una cosa solo ti manca: va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10, 21).

Il Papa fa memoria: “ Gesù nell’ultima cena, si rivolge agli Apostoli con queste parole: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi (Gv 15, 16), che ricordano a tutti, non solo ai sacerdoti, che la vocazione è sempre una iniziativa di Dio. E’ Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un “esodo” da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti, per poter dire con san Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” 

Il Papa ci invita a una peregrinatio a ritroso, un cammino sapienziale per ritrovarci sulle strade della Palestina o vicino alla barca dell’umile pescatore di Galilea, ci invita a contemplare gli inizi di un cammino o meglio di un evento che, inaugurato da Cristo, fa lasciare le reti sulla riva; il banco delle gabelle sul ciglio della strada; le velleità dello zelota tra le intenzioni del passato. Tutti mezzi inadatti per stare con Lui.

Ci invita a sostare a lungo, come pellegrinaggio interiore, innanzi all’orizzonte della prima ora, dove gli spazi sono caldi di relazionalità amica, l’intelligenza è condotta ad aprirsi al mistero, la decisione  stabilisce che è bene porsi alla sequela di quel Maestro che solo ha parole di vita eterna (cf. Gv 6, 68). Ci invita a fare dell’intera” esistenza un pellegrinaggio di trasformazione nell’amore”

Papa Francesco ci chiama a fermare la nostra  anima sul fotogramma di partenza: “La gioia del momento in cui Gesù mi ha guardato” ad evocare significati ed esigenze sottesi alla nostra vocazione: “ E’ la risposta ad una chiamata e ad una chiamata di amore” .Stare con Cristo richiede condividere la vita, le scelte, l’obbedienza  di fede, la beatitudine dei poveri,  la radicalità dell’amore.

Si tratta di rinascere per vocazione.” Invito ogni cristiano a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta”. 

Paolo ci riporta a questa fondamentale visione: nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già si trova (1Cor 3, 11). Il termine vocazione indica questo dato gratuito, come un serbatoio di vita che non cessa di rinnovare l’umanità e la Chiesa nel più profondo del suo essere.

Nell’esperienza della vocazione è proprio Dio il misterioso soggetto di un atto di chiamata. Noi ascoltiamo una voce che ci chiama alla vita e al discepolato per il Regno. Papa Francesco nel ricordarlo,” tu sei importante per me”, usa il dialogo diretto, in prima persona, così che la coscienza emerga. Chiama a consapevolezza la mia idea, il mio giudizio per sollecitare a comportamenti coerenti con la coscienza di me, con la chiamata che sento rivolta a me, la mia chiamata personale:” Vorrei dire a chi si sente indifferente verso Dio, verso la fede, a chi è lontano da Dio o l’ha abbandonato, anche a noi, con le nostre “lontananze” e i nostri “abbandoni” verso Dio, piccoli, forse, ma ce ne sono tanti nella vita quotidiana: guarda nel profondo del tuo cuore, guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose? Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo?”. 

La relazione con Gesù Cristo chiede di essere alimentata dall’inquietudine della ricerca. Essa ci rende consapevoli della gratuità del dono della vocazione e ci aiuta  giustificare le motivazioni che hanno causato la scelta iniziale e che permangono nella perseveranza: “ Lasciarsi conquistare da Cristo significa essere sempre protesi verso ciò che mi sta di fronte, verso la meta di Cristo (cf. Fil 3, 14)”.  Rimanere costantemente in ascolto di Dio chiede che queste domande divengano le coordinate che ritmano il nostro tempo quotidiano.

Questo indicibile mistero che ci portiamo dentro e che partecipa all’ineffabile mistero di Dio, trova l’unica possibilità di interpretazione nella fede: “ La fede è la risposta ad una Parola  che interpella personalmente, a un Tu che ci chiama  per nome” (18) e  “in quanto risposta a una Parola che precede, sarà sempre un atto di memoria. Tuttavia questa memoria non fissa nel passato ma, essendo memoria di una promessa, diventa capace di aprire al futuro, di illuminare i passi lungo la via”. “ La fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma: la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Chi porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la  sa risvegliare nel cuore degli altri”. Memoria  di essere chiamati qui ed ora.

Chi ha incontrato il Signore e lo segue con fedeltà è un messaggero della gioia dello spirito.

“Solo grazie a quest’incontro o re-incontro con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità”. La persona chiamata è convocata a se stessa, cioè al suo poter essere.  Forsa non è gratuito dire che la crisi della vita consacrata passa anche dall’incapacità di riconoscere tale profonda chiamata, anche in coloro che già vivono tale vocazione.

Viviamo una crisi di fedeltà, intesa come consapevole adesione a una chiamata che è un percorso, un cammino dal suo misterioso inizio alla sua misteriosa fine.

Forse siamo anche in una crisi di umanizzazione. Stiamo vivendo la limitatezza di una coerenza a tutto tondo, feriti dall’incapacità di condurre nel tempo la nostra vita come vocazione unitaria e cammino fedele.

Un cammino quotidiano, personale e fraterno, segnato dallo scontento, dall’amarezza che ci serra nel rammarico, quasi in una permanente nostalgia per strade inesplorate e per sogni incompiuti, diventa un cammino solitario.  La nostra vita chiamata alla relazione nel compimento dell’amore può trasformarsi in landa disabitata. Siamo invitati ad ogni età a rivisitare il centro profondo della vita personale, laddove trovano significato e verità le motivazioni del nostro vivere con il  Maestro, discepoli e discepole del Maestro.

La fedeltà è consapevolezza dell’amore che ci orienta verso il Tu di Dio e verso ogni altra persona, in modo costante e dinamico, mentre sperimentiamo in noi la vita del Risorto: “ Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberi dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”. 

Il discepolo fedele è grazia ed esercizio d’amore, esercizio di carità oblativa:” Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza la Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore”. 

Perseverare fino al Golgota, sperimentare le lacerazioni dei dubbi e del rinnegamento, gioire nella meraviglia e nello stupore della Pasqua fino alla manifestazione di Pentecoste e all’evangelizzazione fra le genti, sono tappe della fedeltà gioiosa perché kenotica, sperimentata per tutta la vita anche nel segno del martirio e altresì partecipe della vita risorta di Cristo: “ Ed è dalla Croce, supremo atto di misericordia e di amore, che si rinasce come nuova creatura (Gal 6, 15) “. 

Nel luogo teologale in cui Dio rivelandosi ci rivela a noi stessi, il Signore ci chiede, dunque, di ritornare a cercare, fides quaerens: Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro ( 2Tm 2, 22).

Il pellegrinaggio interiore inizia nella preghiera: “ La prima cosa per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita. Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri?”. Questo itinerario dura tutta la vita, mentre lo Spirito Santo nell’umiltà della preghiera ci convince della Signoria di Cristo in noi: Il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio  fedeltà; ci ha dato il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo”. 

Il Papa indica l’orazione come la fonte di fecondità della missione: “ Coltiviamo la dimensione contemplativa, anche nel vortice degli impegni più urgenti e pesanti. E più la missioni vi chiama ad andare verso le periferie esistenziali, più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo, pieno di misericordia e di amore”. 

Lo stare con Cristo forma ad uno sguardo contemplativo della storia, che sa vedere ed ascoltare ovunque la presenza dello Spirito e, in modo privilegiato, discernere la sua presenza per vivere il tempo come tempo di Dio. Quando manca uno sguardo di fede” la vita perde gradatamente senso, il volto dei fratelli si fa opaco ed è impossibile scoprirvi il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui quando non privi di speranza”. 

La contemplazione apre all’attitudine profetica. Il profeta è un uomo “ che ha gli occhi penetranti e che ascolta e dice le parole di DIO; un uomo dai tre tempi: promessa del passato, contemplazione del presente, coraggio per indicare il cammino verso il futuro”.

La fedeltà nel discepolato passa ed è provata, infine, dall’esperienza della fraternità, luogo teologico,  in cui siamo chiamati a sostenerci nel si gioioso al Vangelo: “ E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua logica che è così diversa dalla nostra: è la Parola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità”. 

Il Papa ci invita dunque a rinnovare e qualificare con gioia e passione la nostra vocazione perché l’atto totalizzante dell’amore è un processo continuo,” matura, matura, matura”, in sviluppo permanente in cui il si della nostra volontà alla sua unisce volontà, intelletto e sentimento “ l’amore non è mai concluso e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso”.

“ La gente oggi ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi  testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore,  che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene. La gioia di portare la consolazione di Dio!”. 

Papa Francesco affida ai consacrati e alle consacrate questa missione:  trovare il Signore che ci consola come una madre e consolare il popolo di Dio.

Dalla gioia dell’incontro con il Signore e della sua chiamata scaturisce il servizio nella  Chiesa, la missione: portare agli uomini e alle donne del nostro tempo la consolazione di Dio, testimoniare la Sua  misericordia.(46)

Nella visione di Gesù la consolazione è dono dello Spirito, il Paraclito, il Consolatore che ci consola nelle prove e accende una speranza che non delude.  Così la consolazione cristiana diventa conforto, incoraggiamento, speranza: è presenza operante dello Spirito /c. Gv 14, 16-17), frutto dello Spirito  e il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22).

In un mondo che vive la sfiducia, lo scoraggiamento, la depressione, in una cultura in cui uomini  e donne si lasciano avvolgere dalla fragilità e dalla debolezza , da individualismi e interessi personali, ci è chiesto d’introdurre la fiducia nella possibilità di una felicità vera di una speranza possibile, che non poggi unicamente sui talenti, sulle qualità, sul sapere, ma su Dio. A tutti è data la possibilità di incontrarlo, basta  cercarlo con cuore sincero.

Gli uomini e le donne del nostro tempo aspettano parole di consolazione, prossimità di perdono e di gioia vera. Siamo chiamati a portare a tutti l’abbraccio di Dio, che si china con tenerezza di madre verso di noi: consacrati, segno di umanità piena, facilitatori e non controllori della grazia (47) chinati nel segno della consolazione.

Siamo chiamati a compiere un esodo da noi stessi in un cammino di adorazione e di servizio. “ Uscire dalla porta per cercare ed incontrare! Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficientista, a questa cultura  dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà e la fraternità,  sono elementi  che rendono la nostra civiltà veramente umana.  Essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro!  Vi vorrei quasi ossessionati in questo senso. E farlo senza essere presuntuosi”. 
“ Il fantasma  da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione  davanti ad un mondo esterno difficile e complesso”. Il Papa ci  esorta a “uscire dal nido” per abitare la vita degli uomini e delle donne del nostro tempo, e consegnare noi stessi a Dio e al prossimo. 
“ La gioia nasce dalla gratuità di un incontro! E la gioia dell’incontro e della sua chiamata porta a non chiudersi, ma ad aprirsi; porta al servizio nella Chiesa. San Tommaso diceva “ bonum est diffusivum sui “. Il bene si diffonde. E anche la gioia si diffonde. Non abbiate paura di mostrare la gioia di aver risposto alla chiamata del Signore, alla sua scelta di amore e di testimoniare il suo Vangelo nel servizio alla Chiesa.  E la gioia, quella vera, è contagiosa, è contagiosa; contagia…fa andare avanti”.
Dinanzi  alla testimonianza contagiosa di gioia, serenità, fecondità, alla testimonianza della tenerezza e dell’amore, della carità umile, senza prepotenza, molti sentono il bisogno di venire a vedere
Più volte Papa Francesco ha additato la via dell’attrazione,  quale via per far crescere la Chiesa,  via della nuova evangelizzazione. “ La Chiesa deve essere attrattiva.  Svegliate il mondo! Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! E’ possibile vivere diversamente in questo mondo. (…) Io mi attendo da voi questa testimonianza”. 
Affidandoci il compito di svegliare il mondo il Papa ci spinge ad incontrare le storie degli uomini e delle donne di oggi alla luce di due categorie pastorali che hanno la loro radice nella novità del Vangelo: la vicinanza e l’incontro, due modalità attraverso cui Dio stesso si  rivelato nella storia fino all’Incarnazione. 
Sulla strada di Emmaus, come Gesù con i discepoli, accogliamo nella compagnia feriale le gioie e i dolori della gente, dando “ calore al cuore”, mentre attendiamo con tenerezza gli stanchi, i deboli, affinchè il cammino comune abbia in Cristo luce e significato. 
Il nostro cammino “ matura verso la paternità pastorale, verso la maternità spirituale, e quando un prete non è padre della sua comunità, quando una suora non è madre di tutti quelli con i quali lavora diventa triste. Questo è il problema. Per questo io dico a voi: la radice della tristezza nella vita pastorale sta proprio nella mancanza di paternità e maternità che viene dal vivere male  questa consacrazione,  che invece ci deve portare alla fecondità”.

Icone viventi della maternità e della prossimità della Chiesa andiamo verso coloro che attendono la Parola della consolazione chinandoci  con amore materno e spirito paterno verso i poveri e i deboli. 
Il Papa ci invita a non privatizzare l’amore,  ma con l’inquietudine di chi cerca: “ Cercare sempre, senza sosta, il bene dell’altro, della persona amata”. La crisi di senso dell’uomo moderno e quella economica e morale della società occidentale e delle sue istituzioni non sono un evento passeggero dei tempi in cui viviamo ma delineano un momento storico di eccezionale importanza.  Siamo chiamati allora come Chiesa ad uscire per dirigerci verso le periferie geografiche, urbane ed esistenziali – quelle del mistero del peccato, del dolore, delle ingiustizie, della miseria -, verso i luoghi nascosti dell’anima dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere.  
“Viviamo in una cultura dello scontro  della frammentarietà, dello scarto non fa notizia quando muore un barbone per il freddo”, eppure “ la povertà è una categoria teologale perché il Figlio di Dio si è abbassato per camminare per le strade. Una Chiesa  povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo  verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore”. Vivere la beatitudine dei poveri vuol dire essere segno che l’angoscia della solitudine e del limite è vinta  dalla gioia di chi è davvero libero in Cristo e ha imparato ad amare.
Durante la sua visita pastorale ad Assisi, Papa Francesco si chiedeva di cosa si deve spogliare la Chiesa. E rispondeva : ” Di ogni azione che non è per Dio, non è di Dio; dalla paura di aprire le porte e di uscire incontro a tutti,  specialmente dei più poveri,
Bisognosi lontani, sen aspettare; certo non per perdersi nl naufragio del mondo, ma per portare con coraggio a luce di Cristo, la luce del Vangelo, anche nel buio, dove non si vede, dove può succedere di inciampare; spogliarsi della tranquillità apparente che danno le strutture  certamente necessarie e importanti, ma che non devono oscurare mai l’unica vera forza che porta in sé; quella di Dio. Lui è la nostra forza!”. 
Risuona per noi come un invito a “ non aver paura delle novità che lo Spirito Santo fa in noi, non aver paura del rinnovamento delle strutture.  La Chiesa è libera.  La porta avanti  lo Spirito Santo.  E’ questo che Gesù ci insegna nel Vangelo: la libertà necessaria per trovare sempre la novità del vangelo nella nostra vita e anche nelle strutture. La libertà di scegliere otri nuovi per questa novità”. Siamo invitati ad essere uomini e donne audaci di frontiera: “ La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede – cammino una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come compendio di verità astratte. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci”.
Accanto alla sfida della beatitudine dei poveri, il Papa invita a visitare le frontiere del pensiero e della cultura, a favorire il dialogo, anche a livello intellettuale, per dare ragione della speranza sulla base di criteri etici e spirituali, interrogandoci su ciò che è buono. La fede non riduce mai lo spazio della ragione, ma lo apre ad una visione integrale dell’uomo e della realtà, e difende dal pericolo di ridurre l’uomo a “materiale umano”. 
La cultura chiamata a servire costantemente l’umanità in tutte le condizioni, se autentica, apre itinerari inesplorati, varchi che fanno respirare speranza, consolidano il senso della vita, custodiscono il bene comune. Un autentico processo culturale “ fa crescere l’umanizzazione integrale e la cultura dell’incontro e della relazione; questo è il modo cristiano di promuovere il bene comune, la gioia di vivere. E qui convergono fede e ragione, la dimensione religiosa con i diversi aspetti della cultura umana: arte, scienza, lavoro, letteratura “. Un’autentica ricerca culturale incontra la storia e apre strade per cercare il volto di Dio.
I luoghi in cui si celebra e comunica il sapere sono anche i luoghi in cui creare una cultura della prossimità, dell’incontro e del dialogo abbassando le difese, aprendo le porte, costruendo ponti. 

 

Le domande di Papa Francesco

. Volevo dirvi  una parola e la parola è  gioia. Sempre dove sono i consacrati, i seminaristi,  le religiose e i religiosi, i giovani, c’è gioia, sempre c’è gioia!  E’ la gioia  della freschezza, è la gioia di seguire Gesù; la gioia che ci dà lo Spirito Santo, non la gioia del mondo.  C’è gioia!  Ma dove nasce la gioia? 

. Guarda nel profondo del tuo cuore,  guarda nell’intimo di te stesso, e domandati: hai un cuore che desidera qualcosa di grande o un cuore addormentato dalle cose?  Il tuo cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o l’hai lasciato soffocare dalle cose, che finiscono per atrofizzarlo? Dio ti attende, ti cerca: che cosa rispondi? Ti sei accorto  di questa situazione  della tua anima? Oppure dormi? Credi che Dio ti attende o per te questa verità sono solo “parole”? 

 

Noi siamo vittime di questa cultura del provvisorio.  Io vorrei che voi pensaste a questo: come posso essere libera da questa cultura del provvisorio? 

 

. Questa è un responsabilità prima di tutti degli adulti, dei formatori:  dare un esempio di coerenza ai più giovani. Vogliamo giovani coerenti? Siamo noi coerenti!  Al contrario, il Signore ci darà quello che diceva dei farisei al popolo di Dio: “ Fate quello che dicono, ma non quello che fanno!”. Coerenza e autenticità! 

 

– O mi lascio affascinare da quella  mondanità spirituale che spinge a far tutto per amore di se stessi? Noi consacrati pensiamo  agli interessi personali, al funzionamento delle opere, al carrierismo.  Mah,  tante cose possiamo pensare… Mi sono per così dire “accomodato” nella mia vita cristiana,  nella mia vita sacerdotale, nella mia vita religiosa, anche nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la Parola, che mi porta ad “andare fuori”, verso gli altri? 

 

. Come siamo con l’inquietudine dell’amore? Crediamo nell’amore a Dio e agli altri? O siamo nominalisti su questo? Non in modo astratto, non solo a parole, ma il fratello concreto che incontriamo, il fratello che ci sta accanto! Ci lasciamo inquietare dalle loro necessità o rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre comunità, che molte volte è per noi “comunità – comodità?.

 

. Questa è una bella, una bella strada alla santità! Non parlare male degli altri.  “ Ma , padre ci sono problemi…”: dillo ai superiori, dillo alla  superiora, dillo al Vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità!  Ma dimmi, tu  parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo:  pensate, pensate…Fraternità! Questo amore fraterno. 

. Ai piedi della croce, Maria è la donna del dolore e al contempo della vigilante  attesa di un mistero, più grande del dolore, che sta per compiersi.  Tutto sembra veramente finito; ogni speranza  potrebbe dirsi spenta.  Anche lei in quel momento,  ricordando le promesse dell’annunciazione avrebbe potuto dire: non si sono avverate, sono stata ingannata.  Ma non lo h detto. Eppure lei, beata perché ha creduto,  da questa sua fede vede sbocciare il futuro nuovo e attende con speranza il domani di Dio.  A volte penso: noi sappiamo aspettare il domani di Dio?  O vogliamo l’oggi? Il domani di Dio per lei è l’alba del mattino di Pasqua, di quel giorno primo della settimana.  Ci farà bene pensare, nella contemplazione, all’ abbraccio del figlio con la madre. L’unica lampada accesa al sepolcro di Gesù è  la speranza della madre,  che in quel momento è la speranza di tutta l’umanità.  Domando a me e a voi: nei Monasteri è ancora accesa questa lampada? Nei Monasteri si aspetta il domani di Dio? 

. L’inquietudine dell’amore spinge sempre ad andare incontro all’altro, senza aspettare cha sia l’altro a manifestare il suo bisogno. L’inquietudine dell’amore ci regala il dono della fecondità  pastorale,  e noi dobbiamo domandarci, ognuno di noi: come va la mia  fecondità spirituale, la mia fecondità pastorale? 

. Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che ci dobbiamo porci: abbiamo anche noi  grandi visioni e slancio?   Siamo anche noi audaci ?  Il nostro sogno vola alto?  Lo zelo ci divora (cf.Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio? 

Ave, Madre della gioia

  1. Rallegrati, piena di grazia (Lc 1, 28,) “ il saluto dell’angelo a Maria è un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella”. 

Accanto a Maria la gioia si espande: il Figlio che porta nel grembo è il Dio della gioia, della letizia che contagia, che coinvolge. Maria spalanca  le porte del cuore e corre verso Elisabetta.   “ Gioiosa di compiere il suo desiderio, delicata nel suo dovere, premurosa nella sua gioia, si affrettò verso la montagna. Dove, se non verso le cime, doveva tendere premurosamente Colei che già era piena di Dio?”. 

Si muove in tutta fretta (Lc 1, 39) per portare al mondo il lieto annunzio,  a tutti la gioia incontenibile che accoglie nel grembo: Gesù, il Signore. In tutta fretta: non è solo la velocità con cui Maria si muove.  Ci racconta la sua diligenza, l’attenzione premurosa con la quale affronta il viaggio, il suo entusiasmo.  Ecco la serva del Signore (Lc 1, 38).  La serva del Signore, corre in tutta fretta, per farsi serva degli uomini. In Maria  è la Chiesa tutta che cammina insieme: nella carità di chi si muove verso chi è più fragile; nella speranza di chi sa che sarà accompagnato in questo suo andare e nella fede di chi h un dono speciale da condividere. In Maria ognuno di noi, sospinto dal vento dello Spirito vive la propria vocazione ad andare!

Stella della nuova evangelizzazione,

aiutaci a risplendere

nella testimonianza della comunione

del servizio, della fede ardente e generosa,

della giustizia e dell’amore verso i poveri,

perché la gioia del Vangelo

giunga sino ai confini della terra

e nessuna periferia sia priva della sua luce.

Madre del Vangelo vivente,

sorgente di gioia per i piccoli,

prega per noi.

Amen, Alleluia. (84)

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