Suore dell'Immacolata

Memoria e perdono

Siamo in cammino verso la Pasqua 2005, memoriale del sacrificio di Gesù, della sua immensa misericordia e del suo amore per ciascuna di noi. La Parola di Dio ci presenta il tenace amore di Cristo che non si è fermato di fronte alle incomprensioni, alle calunnie, alla persecuzione, alla condanna a morte; il suo è stato un amore più grande. La forza del bene racchiusa nell’amore ha trionfato sull’accanimento, umanamente insostenibile, di cui è stato oggetto. Sono sorprendenti e risuonano ancora oggi con particolare forza le parole di Cristo morente: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc. 23,34). “Perdona loro…” è l’ultima richiesta fatta al Padre a favore di noi uomini e riportata solo da San Luca, l’evangelista della misericordia, e noi?

            Riflettiamo: quale posto riserviamo al perdono nella nostra vita? L’offesa è un reale ostacolo fra l’offeso e l’offensore, un ostacolo che non si può aggirare mai, perché resta ostacolo. Solo la forza dell’amore può cancellare l’offesa, per questo colui che è incapace di perdonare è incapace di amare. Chi è il protagonista del perdono? É importante rendersi conto che l’atto del perdono deve partire dalla persona che ha ricevuto il torto, da colui che è stato vittima del pregiudizio, dell’ingiustizia, della incomprensione. Colui che commette il torto può chiedere e invocare il perdono, può rientrare in se stesso e, come il figlio prodigo, mettersi in cammino desideroso di essere perdonato: ma solo colui che è stato offeso, il Padre amoroso, può rendere reale tanta aspirazione.
L’atto del perdono coinvolge tutta la persona: la sua memoria, l’intelligenza, il cuore, la fede, la relazione col prossimo e ha incidenza sulla personalità, sul pensiero e sul carattere.
La mancanza dell’esercizio del perdono indebolisce la personalità: incrina i rapporti, rafforza i sospetti, apre la strada alle nevrosi e alla superstizione.
Perdonare non significa ignorare quanto è accaduto o mettere un’etichetta falsa su un atto malevolo: significa, piuttosto, che l’atto malevolo non rimane più come una barriera che impedisce i rapporti. Nel perdono è racchiusa la capacità del nuovo, di rinnovarsi e di donare opportunità di rinnovamento, di sollevare da un peso e di cancellare un debito.
Le parole: “Ti perdono, ma non dimenticherò mai il male che mi hai fatto”, non esprimono la vera natura del perdono. Certo, non si può mai dimenticare, se questo significa cancellare totalmente qualcosa dalla propria mente, tuttavia sempre quando perdoniamo dimentichiamo nel senso che l’offesa non costituisce più un blocco mentale che impedisce la relazione. Liberati da questo percepiamo invece il voler bene, il desiderio del bene verso quel fratello che il Signore ci ha posto accanto perché lo riconduciamo a Lui.
Il bene che perseguiamo per il fratello impedisce di fermarci all’offesa. Allo stesso modo non si può dire: “Ti perdono ma non voglio più avere a che fare con te”, perché perdono significa riconciliazione, tornare di nuovo insieme, per percorrere, aiutandosi, il cammino della vita nonostante la possibilità, prospettata dal Vangelo e forse sperimentata nella vita, che il fratello tornerà a sbagliare contro di noi, e che, come ora, non si avrà altra alternativa che la misericordia. La salvezza del fratello è più importante dell’offesa e della nostra persona ferita. Facciamo memoria dei nostri errori per non crederci superiori ai fratelli, ricordiamo a noi stessi il motivo della consacrazione: la salvezza dei fratelli specie i più lontani; offriamo a Cristo l’impegno a perdonare coloro che ci hanno offeso nella certezza di seguirlo, così, più da vicino.

Sr. M. Rosangela Sala

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