Suore dell'Immacolata

I tre grandi uffici

 

I TRE GRANDI UFFICI DI CHI PARTECIPA ALLA S. MESSA

La SS. Eucaristia, quel dono ineffabile di tutto Se stesso, che Gesù Cristo ci fece nell’ultima cena, pochi istanti prima di andare alla morte, comprende, come voi ben sapete, due parti: è Sacramento e Sacrificio.

Come Sacramento, si riceve dai fedeli, li nutre e li santifica; come Sacrificio, si offre a Dio, Lo glorifica e Lo placa. L’uno e l’altro però dei due misteri si compiono ugualmente nella celebrazione della S. Messa.

La S. Messa, dunque è l’atto più grande, più sublime ed essenziale della nostra religione e, il celebrarla o anche solo il parteciparvi, è l’azione più grande che possa esercitare un cristiano. Non vi è, dunque, per noi, azione così augusta, così veneranda che non meriti di essere fatta con ogni sentimento di fede e di venerazione, di rispetto e di amore.

Vi pare mancanza o trasgressione così lieve da non farne caso, il parteciparvi spensieratamente, distrattamente, pensando a tutt’altro, o tutt’al più masticando qualche orazione vocale?

Mie dilettissime Figlie, voi partecipate ogni giorno all’augusto Sacrificio dell’altare, ma avete mai pensato ai grandi uffici che esercitate in simile azione?

Tre sono i grandi uffici che esercita il cristiano che partecipa alla S. Messa:

1) ufficio di testimone;

2) di offerente;

3) di vittima.

Egli è testimone del medesimo Sacrificio che Gesù Cristo fece sulla croce, perché sull’altare Esso si rinnova sostanzialmente. Il cristiano deve perciò, assistervi con fede partecipante dell’azione sacerdotale; deve unirsi al sacerdote celebrante ed offrire insieme con lui il grande Sacrificio; deve inoltre, come vittima spirituale, sacrificarsi interamente a Dio in unione e in compagnia di Gesù Cristo, principale offerente e vittima.

Ecco i tre punti che presento alla vostra considerazione e che mi propongo di svolgere brevemente, se mi favorite, come al solito, della vostra attenzione.

Il sacrificio è un’offerta che si fa a Dio, da un legittimo ministro, di una cosa sensibile mediante la reale distruzione della cosa stessa, a testimonianza del sommo dominio che Dio ha sopra tutte le creature.

Quindi l’uso dei sacrifici è antico quanto il mondo; è lo stesso in tutte le nazioni dell’universo e in ogni tempo.

S. Tommaso dice che vi furono sempre i sacrifici, perché la retta ragione ci insegna che l’uomo, per la sua naturale debolezza, non può vivere senza il soccorso del divino aiuto, e la stessa ragione dettò allo uomo il dovere di sottomettersi al suo divino Creatore, di onorarLo, di glorificarLo, e di ricorrere a Lui in ogni suo bisogno.

La divina Scrittura, infatti, non appena descritta la creazione del mondo, parla di sacrifici che offrivano a Dio, Caino e Abele, primi figli del progenitore Adamo. Rammenta in seguito le vittime offerte da Noè dopo il diluvio; ricorda i sacrifici di Abramo, di Melchisedek, di Giobbe, di Tobia e minutamente descrive le diverse specie di vittime che, per comando espresso di Dio stesso, doveva offrire all’Altissimo il popolo ebreo, allora custode fedele e depositario delle divine rivelazioni. Di questi sacrifici dell’ebraismo, Dio era così geloso, dice S. Tommaso, che Egli stesso aveva ordinato in quali tempi, in quali luoghi, da quali persone e con quale rito Gli si dovevano offrire. Voleva, cioè, che alcuni Gli si offrissero per onorare Lui solo e per confessare il Suo supremo dominio su tutte le creature: in tale sacrificio, che si diceva perciò olocausto, la vittima si consumava tutta intera; altri sacrifici Gli si offrivano per ottenere da Lui la remissione dei peccati: in questi la vittima veniva in parte bruciata e in parte data ai sacerdoti, perché noi comprendessimo che la remissione dei peccati ci viene da Dio per mezzo del ministero sacerdotale; altri sacrifici, finalmente, che venivano detti «ostie pacifiche», voleva che Gli si offrissero, o in ringraziamento dei benefici ottenuti, e allora si chiamavano sacrifici di lode, o per conseguire dalla misericordia divina grazie e favori, e in questo caso si chiamavano sacrifici impetratori. Le vittime di questi sacrifici si dividevano in tre parti: la prima si bruciava in onore di Dio, la seconda era dei sacerdoti e la terza spettava a coloro che l’avevano offerta, per dimostrare che alla nostra eterna salvezza devono concorrere insieme: la grazia divina, l’ufficio dei sacerdoti e la nostra cooperazione.

Tutte queste vittime dell’antico testamento piacevano al Signore, perché erano figura di quel grande Sacrificio che nella pienezza dei tempi si doveva compiere sul Golgota dall’Uomo-Dio, ma non erano sufficienti, come dimostra la loro stessa molteplicità, a rendere a Dio il dovuto onore e a placare lo sdegno della divina Giustizia, irritata per i peccati degli uomini.

«Era impossibile – dice S. Paolo – che il sangue dei tori e dei capri avesse la virtù di cancellare i peccati».

Era dunque necessario un altro sacrificio, che avesse valore e virtù di soddisfare pienamente l’oltraggiata giustizia del Padre e restituisse il debito onore alla Sua Maestà offesa, per cui venne sulla terra il Figlio di Dio a farsi uomo simile a noi. Egli offrì all’eterno Suo Padre questo grande sacrificio di infinito valore, che la divina Giustizia richiedeva in remissione dei peccati del mondo.

Ben lo sapeva Gesù Cristo che tale era il fine della Sua missione fra noi, perché appena nato, tenero Bambinello là nella stalla di Betlemme, tra la gioia festosa degli angeli che, discesi dal Cielo a schiere e schiere, Gli facevano corona intorno, e il sorriso di tutta la natura che già salutava in Lui l’aspettato Riparatore, si offrì pronto a soddisfare per noi.

Rivolto al Padre con le parole del salmo, Egli disse: «Padre mio, Voi non avete gradito il sacrificio di tori e di agnelli che da quattromila anni gli uomini Vi offrivano, ma voleste che Io prendessi le sembianze di uomo, per soddisfare il grande debito: eccomi dunque a Vostra disposizione; con questo corpo che Voi mi deste Io pagherò per tutti. Col sacrificio che ora Vi offro e che compirò sul Calvario, Io soddisferò pienamente la Vostra divina giustizia».

Giunto poi al termine dei Suoi giorni mortali, Gesù Cristo effettuò la grande opera della redenzione con la spontanea oblazione di tutto Se stesso. Egli offrì quel grande sacrificio, che si aspettava da tanti secoli, col quale soddisfece abbondantemente la Divina Giustizia per i nostri peccati, e ci meritò un immenso tesoro di benedizioni celesti.

Ma il sacrificio di Gesù Cristo non doveva finire con la Sua morte. Essendosi Egli costituito nostro Mediatore presso il Suo divin Padre, doveva fare con Lui sempre le nostre parti e continuare a darGli quell’onore e quella gloria che noi non Gli possiamo dare, e sempre pagare per le nostre quotidiane mancanze.

Per questo, abrogato il sacerdozio levitico dell’antica legge, Egli, Sacerdote Eterno, istituì nella Sua Chiesa un nuovo ministero sacerdotale, il quale ripetesse e ripresentasse fino alla fine del mondo quel medesimo sacrificio di tutto Se stésso, che Egli offrì una volta sola sul Calvario.

La S. Messa è, dunque, questo sacrificio, il solo degno della Maestà di Dio, a cui noi abbiamo l’onore di partecipare ogni giorno e di vederlo offrire sotto gli occhi. Ecco in sacrestia il sacerdote che, lavatesi le mani per indicare la grande purità di coscienza con cui si deve fare a Dio la grande offerta, indossa la veste bianca in segno della mondezza del cuore, si cinge col cingolo della castità, si mette sul petto la stola dell’immortalità perduta per il peccato di Adamo, ma riacquistata per la morte del Salvatore, si pone sugli omeri la pianeta in segno della sua sottomissione alla legge del Signore e, con passo grave e modesto, si incammina all’altare.

Ivi giunto, fa la confessione delle sue colpe e prega. Venuto il momento della consacrazione, prende in mano l’ostia, alza gli occhi al Cielo, la benedice, quindi si inchina in segno di riverenziale timore e, rivestendosi in quell’istante della Persona stessa di Gesù Cristo, proferisce la taumaturga parola della consacrazione: HOC EST CORPUS MEUM. Lo stesso opera sul vino: HIC EST CALIX SANGUINIS MEI. In virtù di queste parole il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo.

Ecco compiuto il sacrificio: la consacrazione del pane e del vino, fatta separatamente, indica la mistica morte del Salvatore, nella quale appunto il sangue fu separato dal corpo. Il sacrificio dell’altare è, dunque, quello stesso della croce.

Gli eretici obiettano che, celebrando noi la S. Messa, veniamo a diminuire il valore del sacrificio compiuto da Gesù Cristo sul Calvario, e quindi a fare a Lui una grandissima ingiuria, quasi che quel sacrificio non fosse stato sufficiente a compensare ogni nostra obbligazione con Dio. Costoro però s’ingannano, perché noi qui non offriamo un sacrificio diverso da quello della croce, ma ripresentiamo quello stesso.

Come Gesù Cristo si offrì allora in espiazione dei nostri peccati e per meritarci tutti gli aiuti necessari per conseguire la vita eterna, così si offre ora perché ci siano realmente rimessi i peccati e ci sia concessa la divina grazia, ossia perché ci siano applicati i meriti della Sua passione e morte.

Il sacrificio del Golgota è l’erario inesausto ove sta chiuso il prezzo del nostro riscatto; quello dell’altare è la chiave che ci apre l’ingresso all’erario, affinché ce ne arricchiamo; quello del Golgota è la fonte e l’origine della nostra santificazione, quello dell’altare è il mezzo con cui dobbiamo santificarci.

Del resto, tra quello e questo non c’è altra differenza che nel modo di offrirlo.

Dice il Concilio di Trento: il sacrificio del Golgota è stato offerto con spargimento di sangue, mentre quello dell’altare si compie senza effusione di sangue, ma la Persona offerente e la Vittima offerta è sempre la stessa, cioè è sempre Gesù Cristo, che morì un tempo sul Calvario e si immola oggi sull’altare. Voi vedete, infatti, che il sacerdote celebrante, in tutta la liturgia della S. Messa, funge da Ministro della Chiesa, quando però si tratta della consacrazione si tramuta in certo modo, e si incorpora con la Persona stessa di Gesù Cristo e, quasi fosse Gesù stesso, pronunzia le tremende parole in nome proprio: QUESTO È IL MIO CORPO… QUESTO È IL MIO SANGUE.

Il Crocifisso stesso che si eleva sull’altare tra i candelieri, non è anch’esso una prova di questo che io dico? La Chiesa non vuole che si celebri la S. Messa dove non c’è un Crocifisso, e mancherebbe gravemente il sacerdote che celebrasse senza il Crocifisso. Come sul Calvario fu inalberata la croce con Gesù Crocifisso, così anche qui sull’altare, si solleva la croce con l’immagine del Crocifisso.

Con quale riverenza, dunque, con quale rispetto dobbiamo noi assistere al santo sacrificio della Messa!

Se ci fossimo trovati sul Calvario, quando Gesù morì sulla croce, con quali sentimenti di fede, di amore, di compunzione vi avremmo assistito! Vi pare che vi saremmo stati distratti, svagati, guardando attorno con spirito di indifferenza, come si suole fare spesso? Gesù è quello stesso che si sacrificò un giorno sul Calvario e che si offre ora nella S. Messa all’Eterno Suo Padre per i nostri peccati e la salvezza del mondo; perché dunque di portarci come se non sapessimo che cos’è la S. Messa?

Ricordate che noi, non solo siamo testimoni di questo grande sacrificio, perché l’atto si compie sotto i nostri occhi, ma siamo anche offerenti, perché offriamo con Gesù lo stesso sacrificio.

Il principale offerente è Gesù Cristo, ma non è solo perché tutti quelli che vi partecipano concorrono con Lui ad offrire lo stesso sacrificio. È in questo senso che l’apostolo S. Pietro chiama tutti i fedeli: sacerdoti, gente santa, stirpe eletta, perché partecipando alla S. Messa offrono tutti il sacrificio a Dio insieme col sacerdote celebrante.

Inoltre il sacerdote non parla al singolare, ma al plurale, per indicare che non è lui solo che funge da sacerdote, ma sacerdoti, in certo modo, sono tutti gli astanti che fanno con lui l’offerta. Per questo, nel corso della sacra Azione, procura di tenere sveglio e attento il loro spirito, dicendo più volte: «Il Signore è con voi», quasi volesse dire: «Badate bene, o fratelli, a quello che fate, perché il Signore vi vede e vi osserva» . Più chiaramente poi, prima del prefazio, dice loro: «Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia accetto a Dio, Padre Onnipotente» . Voi, dunque, quando partecipate alla S. Messa, fate tutti l’ufficio di sacerdote e tutti dovete offrire col celebrante lo stesso sacrificio.

Qui, voi vi accorgete che io intendo parlare dei doveri e dei debiti che noi tutti abbiamo con Dio. S. Tommaso dice che noi abbiamo con Dio quattro grandi debiti.

Il primo è di lodarLo e onorarLo per la sua infinita Maestà, degna di infinito onore e di infinite lodi.

Il secondo è di soddisfarLo per i tanti peccati da noi commessi.

Il terzo è di ringraziarLo per i tanti benefici che ci ha fatto.

Il quarto è di supplicarLo come Datore di tutte le grazie.

Questi sono appunto i quattro motivi, per cui Gesù Cristo fece il grande sacrificio di tutto Se stesso.

Ora noi, nella S. Messa, dobbiamo pagare a Dio tutti questi debiti. Perciò, uniti in ispirito col sacerdote celebrante, ciascuno di noi prenda in mano l’Ostia sacrosanta e il calice col vino consacrato e, rivolto al divin Padre, con somma riverenza e rispetto, Gli dica così: «Grande Iddio, Maestà infinita, io conosco queste mie grandi obbligazioni verso di Voi, ma non ho di che soddisfare. Ecco però qui il Vostro Unigenito Figlio e mio amorosissimo Salvatore, Egli Vi soddisfa per me; in questa offerta che io Vi faccio del preziosissimo sangue e del santissimo corpo del mio Gesù, Voi avete quanto desiderate di onore e di gloria, di ringraziamento, di soddisfazione e di supplica, perché infinito è il valore della vittima immolata».

Io ho detto pure che alla S. Messa noi non facciamo solo l’ufficio di testimone e di offerente, ma facciamo anche l’ufficio di vittima, perché in questa veneranda Azione noi dobbiamo, in compagnia di Gesù Cristo, sacrificarci interamente a Dio.

Questa è una verità che ci venne insegnata fin da quando ricevemmo il Battesimo. Perché nell’amministrazione di quel Sacramento, il sacerdote celebrante impone la mano sopra la creatura che si deve battezzare e le unge la sommità del capo col sacro crisma? Per indicare appunto che i battezzati diventano membra di Gesù Cristo, loro Capo legittimo, quindi essi sono altrettante vittime da consacrarsi a Dio Onnipotente.

Nella S. Messa, tanto prima che dopo la consacrazione, voi vedete che il sacerdote celebrante fa segni di croce con la mano sull’ostia e sul vino del calice, pregando intanto il Signore a voler riguardare con occhio benigno di misericordia la vittima che offre. E sapete perché? Non già perché il celebrante teme che quella vittima sacrosanta non sia accetta a Dio; sa bene che, essendo essa lo stesso Figlio di Dio non può essere che molto accetta al divin Padre: ma prega perché il Signore si degni di accettare la vittima che Gli dobbiamo offrire di tutti noi stessi. In verità, se Cristo è nostro capo e noi Sue membra, e formiamo con Lui un solo corpo, come può Egli sacrificarsi senza che ci sacrifichiamo anche noi?

Compiamo dunque, anche noi nella S. Messa il nostro sacrificio; offriamoci anche noi al Signore in compagnia di Gesù Cristo; sacrifichiamoGli la nostra volontà, il nostro amor proprio, tutte le nostre passioni, dichiarandoGli di voler vivere unicamente per Lui e per piacere a Lui nella pratica di ogni virtù; allora sì che trarremo grande profitto dalla partecipazione alla S. Messa. Amen.