Suore dell'Immacolata

Qualita zizzania grano

 

Il buon grano e la zizzania

(seconda riflessione)

Dal brano del Vangelo di S. Matteo: 13, 36-43

36 «…et accesserunt ad eum discipuli eius dicentes: – Dissere nobis parabulam zizaniorum agri -.

37 Qui respondens ait: – Qui seminat bonum

38 semen, est Filius hominis; ager autem est mundus; bono verum semen, hi sunt filii

39 regni; zizania autem filii sunt mali; inimicus autem, qui seminavit ea, est Diabolus; messis vero consummmatio saeculi est, messores autem angeli sunt.

40 Sicut ergo colliguntur zizania et igni comburuntur, sic erii in consummatione saeculi;

41 mittet Filius hominis angelos suos, et colligent de regno eius omnia scandala et eos, qui

42 faciunt iniquitatem et mittent eos in cami-

43 num ignis; ibi erit fletus et stridor dentium. Tunc insti fulgebunt sicut sol in regno Patris eorum».

QUALITÀ DELLA ZIZZANIA E DEL BUON GRANO

II Regno dei cieli – disse in quel tempo Gesù Cristo alle turbe che lo seguivano – è simile ad un uomo che semina il buon seme nel proprio campo. Mentre i lavoratori dormivano, venne il suo nemico che, di nascosto, in mezzo al buon grano sparse della zizzania. Cresciuta poi l’erba e spuntate le spighe, comparve anche la zizzania. I servi del padre di famiglia vennero allora a dirgli: «Signore, non avete voi seminato del buon grano nel vostro campo? Come dunque è spuntata, con esso, la zizzania? Volete che sull’istante ci proviamo ad estirparla?». «No – rispose il padrone – perché, essendo la pianticella del grano ancora tenera, la sradichereste insieme alla zizzania. Lasciate pure crescere l’uno e l’altra fino alla mietitura; allora darò ordine ai mietitori che separino dal grano quest’erba malvagia e, strettala in fasci, la gettino nel fuoco, mentre il buon frumento venga deposto nei miei granai. Fin qui la parabola scritta dall’Evangelista S. Matteo.

Uditene ora la spiegazione che ne diede lo stesso divin Salvatore ai suoi Discepoli. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro buon Padre celeste e il campo in cui è seminato il grano e la zizzania è la santa Chiesa, che accoglie figli buoni e cattivi, discoli e ubbidienti. Questa mescolanza, però, non è durevole. Verrà il tempo della messe e la morte, con falce inesorabile, taglierà grano e zizzania. Si farà, prima al tribunale di Cristo Giudice, poi nel giorno estremo, la grande separazione: saranno divisi i petulanti capretti dalle innocenti agnelle, il buon frumento dalla malvagia zizzania, gli eletti dai riprovati. Questi ultimi verranno dai demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, mentre gli eletti verranno portati dagli Angeli nel Regno dei cieli.

Mie dilettissime, quale sarà la nostra sorte? Possiamo immaginarla fin d’ora. Se noi siamo zizzania, aspettiamoci il fuoco; se siamo buon frumento, il cielo sarà la nostra abitazione.

Ora, a chi noi assomigliamo di più? Al frumento, oppure alla zizzania? Affinché possiate meglio comprenderlo io, quest’oggi, vi esporrò le qualità della zizzania in senso morale e vi indicherò poi le naturali proprietà del frumento, che applicheremo a noi, sempre in senso morale. Da questo confronto potremo conoscere quale sarà la nostra eterna sorte.

San Basilio, ottimo indagatore della natura, dice che la zizzania è un’erba cattiva che nasce sempre in pessimo terreno e, talvolta, in mezzo al frumento; un’erba che s’innalza poco da terra. Assomigliano a questa quelle anime che, sempre rivolte alla terra coi pensieri, coi desideri, con gli affetti del cuore, sono piene di ansietà e di eccessiva sollecitudine per le cose di quaggiù e non hanno altro di mira che le proprie comodità e la soddisfazione dei propri desideri; anime create per il Cielo, che non pensano che alla terra, anzi, al dire del re Profeta, pare che abbiano determinato di non pensare ad altro che alla terra. A costoro, se fossero qui ad ascoltarmi, io vorrei dire: «Mie figlie, disinganniamoci, il nostro fine non sono le cose che passano con il tempo, non dobbiamo cercare la nostra contentezza nelle nostre soddisfazioni, ma nell’abnegazione della nostra volontà e nel portare la croce con Gesù Crocifisso. Noi siamo fatti per il Cielo; lassù – dice S. Paolo – dobbiamo innalzare la mente e il cuore: « Quae sursum sunt sapite, non quae super terram ». Da questa terra ci staccherà la morte e, quanto più le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso ed incontreremo la cattiva sorte della rea zizzania.

Inoltre quest’erba maligna si insinua fra le radici dell’ancor tenero frumento e a volte lo rende sterile, a volte lo fa perire.

La zizzania di cui parla S. Matteo, infatti, fu sparsa di notte e da un uomo nemico. Questi, secondo i sacri commentatori, è il demonio il quale, per mezzo di anime spensierate, sparge nel mondo, e talora anche nelle case religiose, la pericolosa zizzania.

Il demonio – dice S. Agostino – ha i suoi seguaci, che sono quelle persone di cattivo esempio le quali, con le loro finzioni, coi loro intrighi, con la loro arroganza, con la loro vanità, con il loro operare a capriccio e secondo il proprio genio, seminano attorno la disunione e la discordia, turbano la pace della famiglia, guastano la semplicità altrui, insegnano l’inosservanza delle sane norme ed ingenerano, col cattivo esempio, l’insubordinazione e la disubbidienza ai superiori. Esse, anche se non danno la morte a tante anime incaute, fanno loro certamente molto danno nel loro spirituale profitto. Ora, che possono aspettarsi, le seminatrici di questa diabolica zizzania, se non il fuoco?

La zizzania, infine, produce frutti tali che se, per incuria, essi vanno sotto la macina mescolati al grano e, ridotti in farina, restano mescolati col pane, causano, a chi lo mangia, vertigini e capogiri. Anime di tal genere si trovano talora nelle Comunità religiose.

Finché esse vissero da buone religiose e tennero una condotta semplice ed umile, non furono soggette a capogiri, cioè a pregiudizi intorno all’ubbidienza ed alle osservanze della comunità, ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania, cioè dopo aver seguito le cattive inclinazioni nello sfogo di quella passione, in quell’impegno, in quella corrispondenza, in quella riprovevole amicizia, si è alterato il loro cuore.

Non vogliono più riconoscere l’ubbidienza, né rispettare gli ordini dei Superiori, né ricevere in pace un avvertimento, né un’amorevole correzione: ovunque portano il fuoco dell’indocilità, della discordia e del malumore. Che avviene, poi, di costoro? Il loro amor proprio, trovandosi senza freno, le assale, le sconvolge e toglie loro l’uso della retta ragione, onde non conoscono più se stesse e cadono in mille disordini e in mille difetti.

La storia e l’esperienza ci confermano troppo dolorosamente questa verità. Le persone che formano il disonore delle famiglie religiose sono quelle che, poco a poco, non tenendo più conto dell’obbedienza, della sottomissione e dell’osservanza, giungono all’indisciplina, vogliono vivere a loro modo e mettono lo scompiglio nella comunità. Non dimentichiamo, però, che, per quanto sembri vegeta la vita dell’iniqua zizzania, essa, alla fine, riunita in fascetti, sarà gettata nel fuoco a bruciare.

Diamo ora, dilettissime figlie, uno sguardo all’interno di noi stessi e osserviamo se vi troviamo le qualità della deplorata zizzania. In caso affermativo noi dovremmo mutare vita e costumi, perché se il padrone evangelico non volle che i suoi servi sradicassero subito la zizzania dal suo campo, questo fu, dicono S. Agostino e S. Tommaso, per significare che Iddio, pietoso e paziente, aspetta che coloro che sono zizzania si trasformino, con l’aiuto della grazia e con vera penitenza, in grano eletto e non perseverino in qualità di zizzania fino alla fine della vita, poiché altrimenti il fuoco sarà la loro porzione.

Passiamo ora a vedere, secondo l’allegoria evangelica, se noi siamo piuttosto, come lo spero, simili al buon frumento destinato al granaio del cielo.

Il frumento, gettato nel campo e sepolto sotto terra, grazie alla pioggia e al calore del sole, si schiude, si sviluppa e vi muore per rinascere poi, moltiplicato, in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano e, in particolare, di una buona religiosa. Ella col suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo, e colla sua professione religiosa, fu sepolta con Gesù Cristo per risorgere con Lui a nuova vita di grazia e di gloria; prima, però, deve morire di una mistica morte con l’abnegazione della propria volontà e con la rinunzia a tutto ciò che sa di mondo e di peccato. Non è, questa, una ingegnosa interpretazione, ma è Gesù Cristo stesso che l’afferma nel suo S. Vangelo con la similitudine del frumento: «Se il grano di frumento – dice Egli in S. Giovanni al cap. 12 – cadendo in terra non muore, rimane solo». Se, come il granello di frumento, una religiosa non muore, rimane sterile, non potrà mai rinascere alla virtù ed alla cristiana perfezione. Ma come va intesa questa morte? Le nostre passioni, per il peccato di origine, sono tutte inclinate al male: la superbia, la vanità, la sensualità, l’invidia, la gola e l’accidia sono altrettante fiere che stanno chiuse nel nostro cuore come in un serraglio. Il tenere a freno queste bestie feroci con l’aiuto della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, con il dominio della volontà assistita dalla divina grazia, soffocare in modo che non arrivino ad afferrarci né con i denti, né con gli artigli.

I sensi del corpo sono gli incentivi delle nostre passioni e non si potranno vincere i loro assalti se non si domineranno quegli stessi incentivi. Conviene, dunque, mortificare i nostri sensi in tutto ciò che è contrario alla santa legge di Dio ed alla perfezione cristiana; custodire gli occhi, affinché essi non si fermino su oggetti pericolosi e non portino la dissipazione nel cuore; frenare la lingua, affinché essa non si abbandoni a maldicenze, a parole stizzose contro il prossimo, o non si perda in parole inutili o poco convenienti a persone del nostro stato; frenare la gola, affinché essa osservi la temperanza e si eserciti nelle astinenze ed, infine, mortificare la carne per vivere secondo lo spirito, come ci inculca l’Apostolo S. Paolo.

Anche questo spirito, però, conviene che muoia nell’uso delle sue facoltà. Deve morire l’intelletto con l’umile e rispettosa sottomissione ai propri superiori, la memoria, con la dimenticanza delle offese ricevute, la volontà, con la perfetta rassegnazione a quella di Dio e con l’esatta ubbidienza agli ordini di chi ci guida. Ecco la mistica morte necessaria di cui ci parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così espressa da S. Agostino: «Chi ama l’anima sua e vuole salvarla, la faccia morire a tutti i suoi desideri disordinati».

Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista e Vescovo di Antiochia, condannato dall’imperatore Traiano ad essere sbranato dalle belve nell’anfiteatro romano, mandando una lettera ai fedeli di Roma che ne attendevano l’arrivo, scriveva: «Figlioli miei, io, frumento di Cristo, sarò stritolato dai denti delle bestie come dalla mola, per essere fatto pane mondo e gradito agli occhi di Cristo stesso». Questa è ben altra morte. Iddio nelle circostanze presenti non la esige da noi, ma nell’ordine dell’attuale Provvidenza non può dispensarci dalla morte dei nostri sensi, delle nostre potenze e delle nostre passioni, come io vi ho detto.

Il frumento, inoltre, raggiunta la maturità, va sotto le verghe e, a colpi sonori, viene liberato dalla pula e diviso dalla sua paglia.

Veniamo ora al significato morale. Se noi, sotto la sferza delle tribolazioni che ci vengono da Dio per castigo delle colpe commesse o per prova della nostra virtù, abbassiamo il capo con pazienza e diciamo con Giobbe: « Sit nomen Domini benedictum », significa che noi siamo grano eletto per il Cielo. Ma se, al contrario, nelle infermità, nelle disavventure, nei travagli, nelle persecuzioni, nei dispiaceri ci riempiamo di tristezza, ci lamentiamo, ce la prendiamo con l’uno o con l’altro come fossero gli autori dei nostri guai mentre non ne sono che semplici strumenti, certamente noi non siamo buon grano.

Ascoltate S. Paolo, il grande Apostolo delle genti, che dice: «Tre volte sono stato battuto con verghe, una volta sepolto sotto una tempesta di pietre, ecc, per amore di Gesù Cristo e a gloria del suo santo Nome. In ogni mia tribolazione io sovrabbondavo di gioia, perché pativo per Colui che tanto aveva patito per me: « Superabundo gaudio in omni tribolatione ».

Gesù Cristo stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli dei giudei, ma con che eroica pazienza ed ammirabile rassegnazione sopportò le umiliazioni e i patimenti! Di fronte a tale esempio, cosa dice la nostra delicatezza che rifiuta ogni sorta di mortificazione e che neppure nelle tribolazioni inevitabili sa fare di necessità virtù?

Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio, viene agitato ed esposto allo spirare del vento che, portando via la paglia, lo lascia cadere sull’aia purgato e mondo. L’applicazione morale su questo punto ce la dà Gesù Cristo stesso quando disse a S. Pietro e agli altri Apostoli: «Ecco, satana ha concepito l’iniqua idea di ventilarci come il frumento nel vaglio». Così avviene di fatto: gli Apostoli e i buoni cristiani, in ogni tempo, sono stati dal demonio e dai suoi seguaci agitati nel vaglio delle persecuzioni ed esposti al vento delle false dottrine e di scandalosi esempi, ma essi, per grazia di Dio, si sono mantenuti saldi nella fede e sani nei costumi.

Anche adesso, o mie dilettissime, il nemico non dorme, anzi, dice S. Pietro, va sempre girando attorno a ciascuno di noi quale affamato leone, aspettando l’opportunità di darci la spinta e farci cadere nelle sue mani. Noi, dunque, dobbiamo stare molto attenti a non lasciarci sedurre dalle sue lusinghe, a non cedere ai suoi assalti, a non crollare al vento delle sue tentazioni e alle seduzioni dei cattivi esempi e, come grano purificato, ad adoperarci in ogni modo per rendere sicura la nostra eterna salvezza, come io desidero per voi tutte. Amen.