Suore dell'Immacolata

Quanto sia necessario

 

QUANTO SIA NECESSARIO CONOSCERE BENE GESÙ CRISTO

Sapete voi, Sorelle mie, perché l’Eterno Padre mandò sulla terra il Suo Divin Figlio a farsi uomo simile a noi? Uno dei principali motivi fu, perché gli uomini Lo conoscessero e, conoscendoLo, si risolvessero una buona volta ad amarLo e a servirLo.

Dopo tanti secoli che Egli aveva creato il mondo e quanto in esso si trova, gli uomini, creati anch’essi da Lui, non sapevano ancora chi fosse il loro Creatore, il loro Signore, il loro Dio, ad eccezione del popolo ebreo, a cui Egli si era manifestato più volte.

Questa conoscenza di Gesù Cristo è ritenuta così importante, che in essa, come Egli stesso si esprime in S. Giovanni al c. 17, fa consistere tutta la vita eterna: «Affinché conoscano Te, solo e vero Dio, e Colui che hai mandato Gesù Cristo».

È per questo che i Santi Apostoli, compresi di questa verità, si applicarono interamente allo studio di Gesù Cristo, e non ebbero altro fine nella loro predicazione e nel loro zelo che di farLo conoscere a tutto il mondo. S. Paolo nelle sue lettere Lo nomina più di duecento volte e si mostra tanto sollecito nel conoscere bene Gesù Crocifisso, che in paragone di questa sublime scienza, stimava un nulla tutte le altre cognizioni che egli aveva.

Tutti i Santi della Chiesa erano così persuasi, che senza lo studio del Crocifisso non è possibile fare un passo nella via della virtù, che avevano continuamente gli occhi rivolti a questo libro di Paradiso, e non sapevano darsi pace, finché non l’avessero bene assimilato, mostrandoci così:

che Gesù è il fondamento della nostra salvezza; che Egli solo è la Via, la Verità, la Vita;

che Egli solo è la porta per cui deve entrare chiunque desidera salvarsi; che Egli solo è il pastore che può difendere le pecore dalle insidie del lupo e condurle salve all’ovile del Paradiso.

Chi non cammina per questa strada, chi non entra per questa porta, chi non ascolta la voce di questo pastore, non può sperare di entrare in possesso di Dio. «Il Padre conosce il Figlio, e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarsi».

Importa dunque sommamente, Sorelle mie, che ci occupiamo anche noi di proposito, a conoscere Gesù, Signor nostro; che fissiamo lo sguardo con seria applicazione sopra tutte le azioni della Sua santissima vita, per apprendere da Lui il vero modo di vivere da buone e perfette religiose. Io mi sono proposto di mostrarvi brevemente, quanto sia importante e necessaria questa conoscenza di Gesù Cristo, affinché voi non tralasciate uno studio così salutare, se volete essere Sue vere seguaci.

La conoscenza che deve avere di Gesù Cristo chiunque desidera salvarsi deve essere di due specie: speculativa e pratica.

SPECULATIVA, in quanto ogni cristiano deve vedere e tenere per fermo, quanto ci insegna la fede su Gesù Cristo che cioè Egli è vero Dio e vero uomo: come Dio è uguale al Padre e allo Spirito Santo, avendo con Essi una medesima natura divina, e perciò è eterno, onnipotente, immenso, infinito, come il Padre e lo Spirito Santo; come uomo è nato nel tempo da una Vergine Madre, perciò mortale e passibile come noi.

Essendo noi tutti schiavi di Lucifero, nemici di Dio, destinati a morte eterna per il peccato di Adamo, il Divin Padre, nella Sua infinita misericordia, manda questo Suo Figlio sulla terra ad assumere la nostra carne, affinché con i Suoi patimenti e con le Sue umiliazioni, cancelli le nostre colpe e risani le nostre piaghe.

Egli perciò, è quel medico celeste che può liberarci dalle nostre infermità, renderci la salvezza e donarci la vita; S. Pietro dice che non vi è nessun altro mezzo di salvezza, né altro nome sotto il cielo che sia stato dato agli uomini per cui si possano salvare.

Essendo Cristo il nostro mediatore tra Dio e l’uomo, senza di Lui non è possibile riconciliarsi con Dio, divenire Suoi figli di adozione, riacquistare il diritto al Paradiso.

Queste verità, che tutti dobbiamo credere con fermissima fede, Dio ce le ha raffigurate nel serpente, innalzato da Mosè nel deserto per divino consiglio. Eccone la storia. Gli. Ebrei, annoiati per il lungo viaggio e stanchi per le dure fatiche che erano costretti a soffrire, cominciarono a mormorare contro Dio e contro il loro condottiero Mosè.

«Perché Dio ci ha fatto uscire – dicevano – dall’Egitto, per farci morire in questa solitudine? Qui non abbiamo casa, ci manca l’acqua, il nostro corpo ormai è annoiato di questo leggerissimo cibo, noi insomma non possiamo più vivere».

Dio, per la temerarietà e la durezza di cervice di questo popolo ingrato, mandò dei serpenti velenosi che mordevano gli Israeliti e li facevano morire. Gli Ebrei, spaventati da così terribili castighi, ricorsero a Mosè affinché li liberasse da quell’orribile flagello. Il Signore misericordioso esaudì la preghiera del Suo servo, e gli ordinò di innalzare un serpente di bronzo, promettendogli che tutti coloro che venivano morsi, se avessero fissato il serpente, sarebbero stati risanati. Mosè fabbricò il serpente, lo pose in un luogo dove poteva facilmente essere visto da tutti, e i feriti che lo guardavano rimanevano guariti.

Non altrimenti avviene a noi, rispetto a Gesù Cristo. Egli è l’unico rimedio che ci ha somministrato la divina bontà, per guarirci da tutti i danni del peccato. Chi fissa lo sguardo in Lui, che fu innalzato sulla croce per la salvezza del genere umano; chi, cioè, conosce Lui e in Lui crede, guarisce e risana dalle velenose ferite della colpa e riacquista la salute; chi Lui non guarda, ossia non Lo conosce e in Lui non crede, è già condannato e perisce per sempre, come sarebbero miseramente morti quegli Israeliti, che non avessero rivolto lo sguardo verso il serpente di bronzo.

Miseri noi, mie dilettissime, se fossimo nati o tra gli Ebrei, i quali si scandalizzano del mistero della croce, o in mezzo ai gentili e agli infedeli che Lo ritengono per pazzo! Da chi potremmo aspettarci medicina e rimedio ai nostri mali? Anche noi, come tanti Ebrei e gentili, avvolti nelle tenebre e nell’ombra di morte, dopo aver condotta, nell’ignoranza e nel disordine delle passioni, una vita infelice, dovremmo precipitare anche noi nell’inferno per tutta l’eternità. Quanto amore e ringraziamento dobbiamo a Dio Padre! Egli, infatti, per mezzo del Vangelo, ci ha resi partecipi della sorte dei Santi, ci ha liberati dalla potestà delle tenebre, ci ha trasportati nel regno del Suo Figlio, di cui ha voluto far conoscere le ricchezze della Sua gloria.

PRATICA. La cognizione speculativa che tutti dobbiamo avere del nostro Divin Salvatore, non basta da sola a farci conseguire la vita eterna.

Chi vuol salvarsi, oltre a credere fermissimamente quanto la fede insegna riguardo a Gesù Cristo, deve avere di Lui anche una cognizione pratica, che diriga la sua vita.

Quindi molto si inganna, dice S. Giovanni, chiunque si vanti di conoscere Gesù e non osserva i Suoi comandamenti; e soggiunge che chi desidera di vivere unito a Lui, cioè di partecipare al Suo Spirito, deve camminare per quella stessa strada che fu battuta da Gesù, che è Via, Verità e Vita.

È Via, perché ha voluto precederci col Suo esempio; è Verità, perché i Suoi insegnamenti sono tutti divini; è Vita perché Egli solo può risanarci con la Sua grazia e renderci degni dell’eterna ricompensa.

Come Verità, ci illumina con la Sua dottrina, affinché non sbagliamo; come Vita, ci somministra i Suoi aiuti per darci la forza di rettamente operare; come Via, ci conforta con i Suoi esempi, perché non ci perdiamo mai di coraggio.

Siccome, dunque, dobbiamo credere in Lui, perché è la stessa Verità; sperare in Lui, perché è la Vita, così dobbiamo seguire Lui con l’imitazione perché è la Via. Il divin Padre, non darà la gloria del Cielo, se non a coloro che saranno trovati conformi all’immagine del Suo Figlio. L’apostolo S. Paolo ce ne fa chiara testimonianza nella lettera ai Romani; e S. Pietro dice che Cristo ci ha dato l’esempio affinché seguiamo le Sue orme.

«Prendete sopra di voi il mio giogo – dice Egli stesso in S. Matteo – perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace nel vostro spirito».

Come potremo noi divenire imitatori di Gesù Cristo? Per divenirlo dobbiamo spogliarci dell’uomo vecchio e terreno, per rivestirci dell’uomo nuovo tutto celeste; deporre cioè gli abiti viziosi: l’ira, lo sdegno, la simulazione, l’impazienza, ed indossare invece gli abiti virtuosi: la misericordia, la benignità, la modestia, l’umiltà, la pazienza e soprattutto la carità, che è il vincolo di ogni perfezione.

Senza saper bene ciò che Egli ha fatto, senza aver sempre dinanzi agli occhi questo divino Esemplare, come potremmo ricopiare in noi stessi la Sua immagine e divenire Suoi veri discepoli in questa vita, per poi partecipare alla Sua gloria nell’altra? Ecco, dunque, l’importanza e la necessità che tutti abbiamo di conoscere praticamente Gesù Cristo, nostro amorosissimo Salvatore.

Dobbiamo studiare attentamente la Sua santissima vita e meditare a lungo le grandi virtù che in tutte le occasioni e in tutte le azioni esercitò, per poter regolare la nostra condotta sull’esempio che Egli ci diede.

Con questo studio impareremo ad essere umili, perché Gesù fu umile; impareremo ad essere mansueti, perché Egli fu mansueto.

Come potremo insuperbirci delle nostre qualità e dei nostri talenti, considerando che Gesù, per guarire noi dalla nostra superbia, ha voluto essere trattato da sciocco e da ignorante?

Come presumere di essere tenuti in considerazione, riflettendo che Gesù ha sofferto il disprezzo e fu posposto ad un ladrone?

Come covare nel cuore, per ogni torto ricevuto, sentimenti di odio, di avversione e spirito di vendetta, pensando che Gesù abbracciò un Giuda e pregò il Suo Padre Celeste per quegli stessi che Lo crocifissero?

Se noi attendessimo con sollecitudine a questo studio e procurassimo davvero di imprimerci bene in mente la vita e le azioni di Colui che, come è nostro capo, così deve essere il nostro esemplare, quanto sarebbe più conforme a quella di Gesù Cristo la nostra condotta!

Non si vedrebbero certamente tra noi né divisioni né malumori né discordie. Per ogni contrasto non si avrebbero né impazienze né lamenti né tanto predominio avrebbe nei nostri cuori l’amore ai comodi e ai piaceri.

L’amore di Gesù Cristo ci insegnerebbe ad amarci scambievolmente; a soffrire con rassegnazione le avversità; ad abbracciare volentieri la penitenza.

Questo era il grande libro che i Santi studiavano assiduamente: la vita di Gesù Cristo.

Da questo libro appresero l’obbedienza e, sull’esempio di Gesù Cristo che fu obbediente fino alla morte, con quanta sottomissione e prontezza accoglievano tutte le disposizioni divine!

Da questo libro appresero la mansuetudine e, ad esempio di Gesù Cristo che, sebbene coperto di obbro-bri dai Suoi persecutori, qual mansueto agnello non apriva bocca, soffrivano anch’essi con pace qualunque oltraggio, e mai pensavano a vendicarsene.

Da questo libro appresero ad amare la povertà e, sull’esempio di Gesù, che, sebbene padrone di ogni cosa si fece povero per noi, con eroica generosità disprezzavano ricchezze e comodità.

Se i Santi intrapresero grandi fatiche per promuovere la salute delle anime e dilatare la gloria del nome santo di Dio, l’esempio di Gesù rendeva instancabile il loro zelo. Se intrepidi andavano incontro alla morte e soffrivano sereni i più crudeli martiri, l’esempio di Gesù – dice S. Bernardo – e la considerazione delle Sue pene, li rendeva così pazienti e così coraggiosi.

Insomma, come non perdevano mai di vista questo divino Esemplare, così, divenuti simili a Lui, vivevano dello spirito di Lui e con lo spirito di Lui operavano.

Ma ai nostri giorni sono poche le anime cristiane, e forse anche religiose, che cercano di ben apprendere questa conoscenza pratica del Nostro Divin Salvatore. Anzi, direi che oggi questo studio è trascurato al massimo. Si crede, è vero, che Gesù Cristo è il vero Figlio di Dio fatto uomo per nostro amore, e come tale si adora, ma poi, quasi che questa cognizione e questa fede speculativa sia sufficiente per conseguire la vita eterna, poche, pochissime sono quelle anime cristiane e religiose che, con diligenza e saggezza, si applicano a considerare la Sua vita ed i Suoi esempi per imitarli.

Per imparare arti e scienze umane non si risparmia fatica: si cercano i più eccellenti maestri, si ascoltano volentieri le loro lezioni, minutamente si considerano l’artificio, la finezza, l’ingegno delle loro opere; sembra quasi poter giungere, con tale industria, a farne delle simili. Ma per conoscere bene, con lo studio degli esempi del nostro divino Maestro, lo spirito, la santità, la perfezione della nostra santissima religione e per uniformarvi la nostra vita che è l’arte più importante e la scienza più necessaria, la maggior parte degli uomini non si dà alcuna premura, né mostra alcun impegno.

Che meraviglia, pertanto, che tra i cristiani stessi, tra le stesse persone religiose si trovino così pochi veri imitatori e vere imitatrici di Gesù Cristo! Invece dello spirito di mortificazione, di umiltà, di pazienza, di rassegnazione ai divini Voleri, di dolcezza ed affabilità con i nostri prossimi, di distacco dalle misere cose di questo mondo, si vede signoreggiare l’alterigia, la superbia, l’amor proprio, l’interesse, la vanità e la propria stima!

Disinganniamoci, Sorelle mie, disinganniamoci, se anche noi fummo per il passato trascurati nell’at-tendere alla pratica imitazione del nostro divin Salvatore. Ricordiamo che per ottenere la vita eterna che Gesù Cristo ci ha meritato con la Sua passione e morte, non basta credere e confidare in Lui, bisogna anche seguire i Suoi esempi e praticare le Sue virtù. Senza quest’imitazione, la speranza degenera in presunzione e la fede, anziché salvare il cristiano, lo rende più colpevole.

Dunque, mie dilettissime, non perdiamo mai di vista questo divin Esemplare e teniamo a Lui rivolti gli occhi e gli affetti, specialmente là nella grotta di Betlemme, dove Gesù giace bambino per nostro amore; impariamo la bella lezione che Egli comincia a darci fin dai primi istanti della Sua vita temporale.

Il Dio della gloria e della maestà, il Padrone dell’universo, il Re del Cielo e della terra, voi Lo vedete fatto pargoletto, nato, non in una casa tra le comodità e le agiatezze, ma in una stalla che neppure è Sua, e ciò per insegnare a noi a fuggire la superbia e ad essere veramente umili di cuore.

Da quella mangiatoia, alzando verso di noi le Sue manine, ci mostra quella poca paglia che Gli serve da letto, affinché impariamo che tutto quaggiù è vanità; che tutti i beni di questa misera vita valgono meno di poca paglia che, gettata sul fuoco, in un momento si consuma e, lasciata in balìa del vento, in un batter di occhio viene portata via e dispersa.

Con le lacrime e con i sospiri, intirizzito dal freddo e privo di ogni soccorso, Gesù Bambino ci

insegna che dobbiamo anche noi prepararci a soffrire ogni sorta di tribolazioni e di pene; che non si può godere in questa vita e nell’altra; che dobbiamo mortificare le passioni e fare penitenza, e nelle avversità dobbiamo sempre uniformarci ai divini voleri.

Noi felici, se impareremo da questo Divino Maestro tali lezioni e le metteremo in pratica; potremo sperare che, avendoLo seguito in questa vita, Lo andremo a godere un giorno in Cielo e saremo con Lui beati in eterno. Amen.