Suore dell'Immacolata

Esercizi devoto

 

ESERCIZIO DEVOTO PER TENER COMPAGNIA A MARIA ADDOLORATA DOPO LA MORTE DEL FIGLIO

(Istruzione per i fedeli)

Anima cristiana, la ferale tragedia della barbarie giudaica è compiuta.

Gesù è morto, sommerso in un mare di patimenti e di obbrobri. Più non vive l’autore della vita, il nostro buon Dio, l’amoroso Riparatore dei nostri mali; non più germoglia il Fiore nazareno, perché barbaramente reciso da mano ingrata. Lo piange la desolatissima Madre che, dopo tre ore di agonia, lo vide spirare sotto i propri occhi; lo piange la natura tutta sconvolta; lo piangono il sole eclissato, il velo del tempio diviso in due parti, i macigni spezzati, i sepolcri aperti.

Ma chi mai, miei fratelli, ha tolto la vita a questo insigne benefattore dell’universo? Noi, miei cari, noi fummo coloro che abbiamo dato morte con i nostri peccati al Figlio di Dio fatto uomo, poiché il peccato fu la causa funesta della spietata sua morte. Se Adamo non avesse peccato, sé noi ci fossimo mantenuti fedeli ai divini precetti, Gesù non sarebbe morto. Io lo so: il desiderio ardente di ripagare il suo divin Padre, l’onore e la gloria che l’uomo ingrato, peccando, gli aveva tolto, il grandissimo amore che Egli portava alle anime nostre, come già l’aveva indotto a scendere dal cielo per rivestirsi di umana carne nel seno castissimo di Maria e farsi uomo simile a noi, ora fu il principale spietato carnefice che, dopo averlo colmato di ignominia e di obbrobrio e annientato con orribili, sanguinosi flagelli, lo confisse al duro legno della croce.

Ma chi può negarmi che, dopo il suo amore, causa ugualmente principale delle sue pene e della sua cruda morte, siano stati i nostri peccati?

Egli non avrebbe patito né sarebbe morto con tanta infamia se non ci fossero stati peccati da riparare. Se è così, noi, in ultima analisi, siamo quelli che, col nostro mancare, abbiamo dato la morte all’umanato Figlio di Dio e non una sola volta come gli Ebrei sul Calvario, ma tante volte. Per usare la frase di san Paolo, tante volte l’abbiamo crocifisso in noi stessi quante volte gravemente peccammo.

Non vi pare quindi giusto che in questo giorno, anniversario della sanguinosa sua morte, in cui tutto ci invita al pianto: i sacri bronzi ammutoliti, gli altari spogliati dei sacri arredi, i mesti canti dei sacerdoti e le flebili cerimonie con cui la Chiesa universale si studia di onorare la morte dell’amato suo sposo; non vi par giusto, io dico, che anche noi, prostrati riverenti al suolo, confessiamo umilmente innanzi al cielo e alla terra la nostra colpa, chiedendo di cuore perdono a Lui crocifisso e alla desolata sua Madre, della crudeltà che abbiamo con loro usata? Aborriamo e detestiamo quei maledetti peccati che causarono all’uno e all’altra così gravi patimenti ed affanni. Sì, miei fratelli, genuflessi, umiliati e compunti, ciascuno dica fra sé: Dio di infinita misericordia, eccomi qui umilmente prostrato ai vostri santissimi piedi, pieno di confusione per la mia enorme cattiveria ed ingratitudine, usate contro la vostra Maestà e bontà infinita con i miei peccati. Io, lo riconosco e confesso, sono stato purtroppo quello sventurato e crudele che ha dato la più barbara morte a vostro Figlio, mio Salvatore amorosissimo. Quale profonda ferita con i miei falli ho fatto al vostro amabilissimo cuore! Pietà, o Signore, di me miserabile; ve lo domando con le lacrime agli occhi, vi domando perdono, sono risoluto davvero di non offendervi mai più, né tanto né poco».

Con lo stesso vivo dolore domando perdono anche a voi, o Maria, mia dolcissima Madre a me lasciata per tale dal vostro stesso Figlio, dei tanti dolori che io vi ho causato con le offese fatte al mio e vostro Gesù. Perdonatemi, o cara Madre, e impetratemi misericordia dal sommo Dio, poi permettete che vi tenga compagnia nell’acerba desolazione che voi provate in trovarvi priva dell’amato vostro Figlio affinché, piangendo con voi, non torni mai più a trafiggere con nuove colpe il vostro amabilissimo cuore, né quello del vostro Figlio».

Primo punto: Maria al sepolcro del Figlio Portiamoci ora col pensiero, miei devoti ascoltatori, al sepolcro ove fu chiuso il corpo santissimo di Gesù crocifisso. Che commovente spettacolo non ci si presenta subito dinanzi! Io vedo attorno a quella tomba Maria, Giovanni, la Maddalena ed altre pie donne che, dopo aver assistito sul Calvario alla morte dell’amato Gesù, accompagnarono là le sue fredde spoglie. Come piangono tutte queste anime benedette, al veder chiudere in quel santo sepolcro l’Oggetto più vivo del loro amore!

Guardano e riguardano più volte la pietra crudele che toglie dai loro occhi quel benedetto cadavere e non potendo nemmeno aver più la speranza di poterlo abbracciare e baciarne rispettosamente le piaghe, esse si abbandonano ad un totale scoraggiamento. La più addolorata, però, di queste anime è Maria, la Madre dolcissima di Gesù. Quale affanno trafigge l’amante suo cuore! Ella non sa distaccare da quella fredda tomba né gli occhi, né gli affetti. Mira, racchiuso sotto quel sasso, l’amabile suo Gesù. Rammenta che Egli è quel Gesù a cui Ella diede quel sangue che versò dalle sue piaghe fino all’ultima goccia e quella vita che gli fu tolta da malvagi carnefici, quel Gesù che portò tante volte sulle braccia, che si strinse tante volte al seno, che baciò tante volte sul volto e che anche sul Calvario poté avere almeno il conforto, benché penosissimo, di vederlo morto, disteso sulle sue ginocchia. Che afflizione è mai quella dell’anima sua, che se ne vede divisa e che non può più goderne l’amabile vista! Qual gemente tortorella che, con flebile e compassionevole voce, lamenta la perdita dei suoi piccini che le furono rapiti da vorace sparviero, Maria tiene fisso lo sguardo sulla pietra ove è riposta l’esangue spoglia del suo Unigenito e, quasi lo vedesse risorto, lo chiama e lo invita: «Figlio, gli dice, dolcissimo Figlio, fa sentire la tua voce alla dolente tua Madre. Non potrò più vedere, io, la tua faccia; non potrò più abbracciarti e stringerti al seno? Dimmi…..». Ma Gesù non risponde.

Penetrando quindi con mesto pensiero entro quel monumento, contempla quel Sacratissimo corpo: ora si ferma al capo trapassato da spine, ora alle membra tutte lacere e infrante, ora ai piedi ed alle mani trapassati dai chiodi; ad una ad una ne conta le ferite, ne conta le piaghe e, finalmente, piangente e desolata, guarda nell’aperto costato del caro Figlio e qui, unito l’appassionato suo cuore al cuore di Gesù, dà tutto lo sfogo all’interno suo dolore.

Miei fratelli, fermiamoci qui nel cuore di Gesù insieme con la desolata sua Madre e piangiamo con lei l’enorme ingratitudine che abbiamo mostrato tante volte a questo cuore amabilissimo con i nostri peccati.

Proposito: Detestiamo con sincero pentimento quelle mancanze che ci hanno separato dal nostro caro divin Salvatore e proponiamo risolutamente, per amore di Maria desolatissima, di volerci allontanare da qualunque occasione e da qualunque oggetto che ci possa impedire di stare uniti, con Lei, al cuore dolcissimo di Gesù.

Secondo punto: Maria, ritornando alla sua casa, RIPASSA PER IL CALVARIO

Dopo che Maria ebbe a lungo sfogato presso il sepolcro del Figlio l’estremo affanno dell’addolorato suo cuore, poiché si fa tardi, il sole tramonta e la notte avanza, è costretta a lasciare il sepolcro e a ritornarsene a casa. Ma come farà a distaccarsi da quella tomba? Giovanni e le pie donne, sebbene anch’essi lascino a malincuore quel luogo di troppo cara memoria, vedendo approssimarsi la notte si alzano, si avvicinano a Maria, la Madre, e con voce fioca e rotta dai singhiozzi: «Madre – le dicono – non piangete più, ora conviene ritornarcene a casa; andiamo», e le porgono il braccio, chi da una parte, chi dall’altra. Maria si avvia, ma gli occhi e il cuore corrono al sepolcro. Già si incammina, torna a riguardare indietro e, sostenuta più dalle braccia di Giovanni e delle pie donne che dalle proprie gambe, continua il viaggio ma, dopo un tratto di strada, torna a riguardare il sepolcro, sebbene più non lo veda per la distanza. Vorrebbe fermarsi e tornare indietro ma, sollecitata dalle preghiere della buona comitiva, seguita, passo passo, il suo cammino.

Ecco, però, che nuove funestissime immagini le si presentano ad accrescere il suo dolore. Già è arrivata al Calvario, per il quale è costretta a passare: che dolore, che angoscia si rinnova alla dolorosissima vista per una Madre così tenera! O Calvario, per Maria di troppo acerba memoria! Là vede ancora inalberata la croce ove spirò agonizzante il suo amatissimo Figlio; qua vede il terreno inzuppato dal suo sangue; mira i martelli, le funi; ricorda la barbara crocifissione dell’innocente suo Figlio, l’amara bevanda a Lui somministrata sulla croce dagli spietati carnefici; rammenta gli insulti, i vituperi, i sarcasmi scagliati contro di Lui dall’inumana ciurmaglia; le torna in mente la sua penosissima agonia, le pare di sentirsi ancora ripetere le sue ultime parole, specialmente quelle con cui implora dal divin Padre perdono e pace ai suoi crocifissori; non dimentica l’accesa carità e l’inesplicabile amore che, in quegli istanti ed in mezzo a tante pene, volle dimostrare verso di noi, lasciandoci Lei per nostra Madre. Ricorda l’ardentissima brama che Gesù aveva di soffrire ancora di più per la nostra salvezza, da Lui espressa in quel «sitio» memorando e, finalmente, ricorda gli estremi momenti della morte dell’Oggetto più caro del suo amore. O ricordi dolorosi, o memoria troppo amara per Lei!

Vorrebbe Giovanni, vorrebbero le pie donne distrarla da vista così mesta, le si pongono innanzi per impedire che veda sì ferali oggetti; cercano di accelerare il passo per togliersi presto da quel monte malinconico, ma tutto invano. Come la lingua batte dove il dente duole, così Maria, con gli affetti e con il cuore, è tutta protesa alla croce, all’agonia, alla morte dell’amato Figlio. Guardatela in volto: quanto è addolorata e come, con riverenza profonda, prostrata ai piedi di quel legno prezioso, lo adora e strettamente lo abbraccia! Fermiamoci anche noi, devoti ascoltatori, con Maria desolata ai piedi della croce; stringiamoci al petto quel pegno dolcissimo della nostra salvezza e rievochiamo con Lei la morte crudele che, con le nostre colpe, abbiamo dato al diletto suo Figlio.

Proposito: Dinanzi a questa croce veneranda, confondiamoci delle tante e continue lamentele e delle impazienze in cui cadiamo tutto il giorno nelle nostre tribolazioni e proponiamo di volere, almeno in avvenire, per amore di Gesù crocifisso e di Maria desolata, abbracciare ogni croce che a Dio piacerà mandarci per il nostro bene e per scontare i nostri peccati in questa vita e guadagnarci così il paradiso.

Terzo punto: Maria desolata nella sua casa

Finalmente Giovanni e le pie donne riescono a staccare Maria dalla cima del monte Calvario e a condurla, in loro compagnia, verso Gerusalemme.

Ma anche qui l’addolorato cuore di Maria riceve nuovi motivi di dolori e di affanni: sono ancora rosseggianti le strisce di sangue che vi sparse il Figlio, quando saliva l’erta col pesante legno della croce sulle spalle. «Guarda, Giovanni – dice tra i singhiozzi rivolta all’amato discepolo – guarda, questo è il luogo dove io venni ad incontrare il mio caro Gesù; come era pallido, come era ansante! Qui è dove cadde la terza volta per terra, là dove cadde la seconda volta e più in là la prima». «Madre – riprende Giovanni – lasciate di ricordare e distogliete il pensiero da così acerbe memorie. Anch’io potrei dire i barbari trattamenti che gli furono fatti dai soldati al tribunale di Anna, in casa di Caifa, al pretorio di Pilato e perfino sulle pubbliche strade; potrei narrare l’orribile flagellazione, la coronazione di spine, le beffe e gli scherni dell’iniquo Erode. Potrei dire… ma il cuore non mi regge». E qui, nuovo pianto da ambedue le parti.

Frattanto sono giunti a casa. Maria entra, volge lo sguardo attorno e non vede Gesù. Che nuovi dolori vengono a ferirla nell’anima! Che grande perdita ha Ella subito in questa piccola casa! Tutto ha perduto perdendo Gesù, morto non sul suo letto, non di morte naturale, ma sopra un patibolo… Che notte dolorosissima! Penetriamo, devoti ascoltatori, col pensiero in quell’anima addolorata e vediamo da quanti penosi ricordi Ella viene trafitta! Rivede il letto dove riposava l’amato Figlio e mentre si addolora per questo, le si presenta la mensa a cui sedevano insieme. Guarda il luogo dove Gesù genuflesso pregava nella notte, con fervide orazioni, l’eterno suo Padre per la nostra salvezza… gira gli occhi e le pare di vederlo. Ritorna col pensiero al sepolcro e là lo rivede morto. Non c’è oggetto che la conforti; non c’è, tra i suoi cari, chi valga a consolarla: non Giovanni, ricevuto al posto del Figlio, non la Maddalena, non le altre pie donne… tutto è lutto per Lei, tutto è pianto.

Fermiamoci un poco, miei dilettissimi, fermiamoci un poco in questa casa con la nostra amorosissima Madre, insieme al diletto discepolo Giovanni e alle altre pie donne, e pieni di tenera compassione per Lei, vedendola così desolata, studiamoci di consolarla in qualche modo. Andiamo con Lei in cerca del suo Gesù con infuocati sospiri di santo amore e cerchiamo di condurre, almeno da qui innanzi, una vita che Maria possa trovare sempre più ricca di grazia: questa sarà per Lei la più dolce consolazione che placherà l’amarezza dei suoi affanni.

Proposito: Detestiamo con vero dolore i nostri peccati, risolvendo di fare sempre buone confessioni sacramentali e proponiamo sinceramente di non peccare mai più, in avvenire, né tanto né poco, per accostarci con purità di cuore alla santa Comunione. Verrà Gesù vivo e vero ad abitare in noi con celesti benedizioni e sarà così consolata la nostra buona Madre Maria, potendo ritrovare il suo Gesù dentro di noi. Amen.