IL PURGATORIO
(Meditazione dettata per la novena dei morti)
È cosa ben consolante, fratelli miei, in questi giorni, in cui i dogmi della fede sono così conculcati e derisi che appena appena si trova chi crede come si conviene, è cosa ben consolante, ripeto, vedere un popolo radunato nelle chiese, dinanzi al Tabernacolo santo, al trono del Dio delle misericordie, per implorare requie e felice riposo ai morti. Certo che se vi domandassi se voi suffragate volentieri i defunti, mi sentirei rispondere all’unanimità un bel «sì»: prova ne sono le varie maniere che voi usate, fra l’anno, per porgere loro conforto, e, soprattutto, ne è prova evidente questo tempo, che voi dedicate ogni anno in loro suffragio.
Poverini! Perché non suffragarli? Noi crediamo al purgatorio e sappiamo bene che le ‘anime ivi trattenute soffrono pene così atroci, così crudeli, che uguagliano, nell’intensità del dolore, le pene stesse dell’inferno. Sappiamo che le loro sofferenze sono temporali e devono un giorno finire, ma intanto le poverine soffrono moltissimo e da se stesse, se noi non le aiutiamo, non possono alleviare i loro tormenti.
Benedetti voi, miei cari, che così la pensate e mostrate tanta compassione e tanto amore per le anime purganti. D’altra parte, se le pene del purgatorio sono temporanee, potrebbe venire in mente a qualcuno di voi che tali anime abbiano già finito di patire, siano già pervenute alla gloria del cielo e che perciò non più bisognose di suffragio.
Sarà dunque bene che io quest’oggi vi mostri la necessità di dover proseguire sempre nel vostro lodevole impegno di porgere suffragio ai defunti, perché fortemente è da temere che il purgatorio si prolunghi assai più di quello che non si creda, perciò non vi dovete stancare di suffragare le anime, che laggiù soffrono pene atrocissime.
Che cosa ha detto Gesù a quel povero paralitico che da trentotto anni giaceva sotto i portici della piscina di Gerusalemme? «Levati su, prendi il tuo lettuccio e cammina, ma guarda bene di non peccare più, affinché non ti avvenga qualche cosa di peggio». Da questo si vede chiaro che la paralisi, che già da trentotto anni lo travagliava, gli era venuta addosso per le colpe commesse. Poverino! Trentotto anni di paralisi! Pensate che spasimo, che dolore, che affanni avrà provato il meschino in un tempo così lungo! Eppure non è qui sulla terra il luogo ove si puniscono da Dio i peccati! In questo mondo i castighi della divina giustizia vengono sempre temperati dalla divina misericordia. Solo nell’altro mondo Iddio punisce i peccatori e premia gli eletti. Perciò i Santi Padri si accordano tutti nell’asserire che la più lunga pena e la più crudele che possa soffrirsi in questa vita, non uguaglia la minima del purgatorio.
Ora, chi non sa che nel purgatorio si puniscono i peccati veniali, quei peccati dei quali si fa poco conto, forse perché sembrano cose da nulla e si commettono perciò con tanta facilità? Quanta legna si va radunando ogni giorno per quel terribilissimo fuoco! Quante bugie si dicono! Quante piccole mormorazioni, quante irriverenze nelle chiese, quante volontarie distrazioni nelle preghiere, quante impazienze nel lavoro, quante negligenze nel fare il bene, quanta accidia nello schivare il male, quante vanità e leggerezze, in una parola, quanti peccati si commettono continuamente che, sebbene non privino l’anima della grazia santificante e non la facciano colpevole delle pene eterne dell’inferno, la raffreddano, però, nella carità, la offuscano nella sua naturale bellezza e la rendono colpevole di una pena temporale da scontarsi in questo o nell’altro mondo!
Supponete che a ciascuno di questi peccati veniali sia da Dio assegnato un solo giorno di purgatorio: guardate un po’ quanto lungo tempo dovrà stare fra quelle acerbissime pene, prima che li abbia scontati tutti, l’anima che se ne sarà resa colpevole per tanti anni e li aveva moltiplicati tante volte, quanti furono i giorni della sua vita in questo mondo. Ma basterà un giorno di purgatorio a soddisfare la colpevolezza del peccato veniale? Posso io assegnare una pena proporzionata alla colpa, io che non ne conosco la gravità? A noi, miseri ciechi, un peccato veniale sembra poco, ma sulla bilancia di Dio pesa molto, perché l’offesa di Dio, benché leggera, è un male così grande che non si può facilmente riparare. E di questi peccati veniali, che pesano tanto nel giudizio di Dio, pensate che non ne avessero alcuno da scontare in purgatorio i vostri morti?
Ma voi, che andate facendo il panegirico dei vostri defunti, non siete gli stessi che contemporaneamente confessate che avevano essi pure molti difetti?
Quella povera mia suocera – dice una nuora – era una brava donna, diligente e sollecita per gli interessi della casa, devota; non l’ho mai sentita dire una cattiva parola, ma era di un carattere così stizzoso, che non si poteva far vita insieme.
Quell’uomo era un buon padre di famiglia, attento ai suoi affari, non si impicciava nei fatti altrui; il Rosario della sera non si tralasciava mai in casa sua, ma era così attaccato alla roba, così interessato, che si sarebbe lasciato morir di fame, piuttosto che vendere un pezzetto di terra per provvedere ai suoi bisogni.
Quella madre era una santa donna, frequentava i Sacramenti, ma lasciava un po’ troppa libertà alla figlia.
Quel giovanetto era un bravo ragazzo: non andava con cattivi compagni, la sua bocca non si apriva mai per bestemmiare, né proferiva brutte parole, stava bene e con devozione in chiesa, ma aveva poco rispetto e ubbidienza ai genitori, e rispondeva con arroganza ed era amante del gioco.
Quella ragazza era proprio un angelo per la sua modestia e per il suo contegno, ma era ambiziosa: nel vestire voleva adeguarsi alle altre, anche se le condizioni della sua famiglia non glielo avrebbero permesso.
Che volete dirmi con questo? Che i vostri morti avevano delle virtù e anche dei difetti, leggeri ma sempre difetti, e come i leggeri difetti non tolsero loro le sode virtù, così neppure le sode virtù tolsero loro i vari difetti ed essendo morti con tali difetti, conviene che li scontino laggiù nel purgatorio. Chi può dire quanto sarà lunga la loro pena? Che se poi, oltre i peccati veniali ci fosse stato qualche peccato mortale, rimesso in quanto alla colpa ma non espiato tutto quanto alla pena, quanto si allungherebbero i tormenti del purgatorio! Il peccato mortale è un’ingiuria così grande che si fa alla Maestà divina che tocca quasi l’infinito, avendo in sé una malizia infinita; perché offende un Dio infinito, meriterebbe di essere punito con un castigo infinito e nell’intensità e nella durata; poiché l’anima peccatrice è creatura limitata e finita e non può patire una pena infinita nell’intensità del dolore, Iddio la punisce con una pena eterna.
Quando il peccatore si pente dei suoi gravi peccati, quando se ne accusa sinceramente in confessione e ne promette l’emenda, Iddio gli perdona la colpa che ha fatto col trasgredire i suoi divini comandamenti, gli ritorna la vita della sua grazia e lo ammette nuovamente nella sua amicizia, ma la pena che si è meritato con i suoi peccati non gliela condona, gliela cambia soltanto da eterna in temporale. E questa, la deve scontare nel purgatorio.
Ma ditemi, i vostri morti sono sempre stati solleciti nel fare la penitenza dovuta alle loro colpe? Ragionando un poco, deduciamo da quello che facciamo noi, che non molto siamo solleciti nel soddisfare i nostri peccati. Quale penitenza facciamo? I peccati si commettono, ma a farne penitenza poco o nulla si pensa. Contenti di quelle poche preghiere che ci vengono imposte dal confessore, quando ce ne accusiamo in confessione, non si pensa ad altro. Si crede di aver fatto tutto e di non essere più tenuti a niente. Se la penitenza dataci dal confessore fosse un po’ lunga per il numero delle colpe gravi, deposte ai suoi piedi, ci si lamenta subito del troppo rigore, la si fa con negligenza o la si tralascia anche, almeno in parte. Intanto il debito resta e la giustizia di Dio non si paga. La dottrina ci dice che la penitenza bisogna farla: Iddio perdona le colpe, ma non la pena; che se non saldiamo ora i conti con la divina giustizia, il purgatorio ci aspetta. So bene che tutto in questo mondo potrebbe essere meritorio per soddisfare i nostri peccati: le orazioni del mattino e della sera, i Rosari che si dicono, le Messe a cui si partecipa, la Parola di Dio che si sente, il lavoro che si fa e le tribolazioni che si soffrono, ma nelle orazioni e nel Rosario si è distratti, alla Messa si partecipa con dissipazione, il lavoro non si offre a Dio come si dovrebbe da ogni buon cristiano e lo si accompagna con mille impazienze: le infermità e le tribolazioni non si soffrono con la pazienza e la rassegnazione dovuta, e così quelle cose che dovrebbero servire come altrettanti mezzi per scontare le pene dovute ai nostri peccati, non servono che ad accrescere i nostri debiti con la divina giustizia e ad aggiungere legna al fuoco.
L’attaccamento che abbiamo a questa misera vita, per cui ci rincresce tanto partire da questo mondo, il pensiero della morte che ci turba e rattrista, non è anch’esso legna che terrà acceso il fuoco del purgatorio? S. Caterina da Genova dice che nel purgatorio c’è un luogo riservato a quelle anime che in vita non hanno desiderato il paradiso.
Dalle cose dette fin qui, non risulta manifesto che l’uscita dal purgatorio non avviene presto, come noi pensiamo?
Le anime laggiù relegate, conoscendo questa verità, devono andar ripetendo: «O me infelice, quanto va in lungo il mio soggiorno in queste fiamme! Io credevo che pochi giorni, pochi anni di purgatorio bastassero a pagare ogni mio debito, ma quanto mi sono ingannato! Sì,
credevo che la mia pena, in questo luogo, sarebbe un giorno finita, ma credevo il falso.
Il Ven.le Beda nella sua storia d’Inghilterra racconta, secondo molte visioni avute da pie persone, che molte anime avrebbero dovuto stare in purgatorio fino al giorno del giudizio universale, se non fossero state soccorse dai frati Benedettini.
Non crediamo che il purgatorio debba finire presto! Io penso, invece, che debba andare molto in lungo, non solo per le ragioni che ho detto, ma anche perché tutti i giorni entrano delle nuove anime che partono da questo mondo, vestite della grazia di Dio (perché altrimenti scenderebbero nell’inferno), ma macchiate di piccole colpe veniali, o di pena temporale rimasta dei peccati gravi già perdonati, che devono indispensabilmente scontare in quel fuoco tormentosissimo.
Concludiamo, dunque, il discorso: non vi stancate, amici cari, di suffragare le anime dei vostri morti; offrite le vostre elemosine e pregate il Dio della misericordia che risiede in quell’Ostia santa a liberare quelle povere anime dalle loro pene o a mitigarne almeno gli ardori.
O mio Gesù, illuminate la nostra mente con un raggio di luce che ci insegni a vivere la nostra vita, in modo da non dover un giorno andare a provare le pene terribili del purgatorio, ma intanto mandate un angelo ad aprire quel carcere penosissimo, per liberare le anime tutte che là si trovano.
Non permettete più che le poverine gemano e sospirino più lungamente; spezzate i loro ceppi; rompete le loro catene; estinguete i loro tormenti e fate che, libere, vengano a lodarvi e benedirvi eternamente nel Cielo. Amen.