Suore dell'Immacolata

Anime purgatorio 1

 

LE ANIME DEL PURGATORIO

(Prima Istruzione)

Uno degli uomini più sventurati mi pare che sia quel paralitico, del quale si parla nel Vangelo di S. Giovanni al c. 5. Sentite se dico il vero.

Erano già 38 anni che quel meschino giaceva addolorato là sulle sponde della piscina probatica, e non poteva non essere molto noto a quanti ivi si recavano o per guarire o per curiosità.

Per la lunghezza del male aveva colore pallido, le pupille incavate, le vesti squallide, ed è probabile ancora che, con grida flebili, dovesse muovere a pietà persino i sassi. D’altra parte, non richiedendosi per liberarlo altre forze e altra fatica che quella di un uomo il quale, al momento opportuno, lo tuffasse entro quelle acque e, non avendo potuto in tanti anni trovarne alcuno, non vi pare questa una disgrazia? Se a sollevare quell’infelice dalle sue sofferenze fosse stato necessario che uno spendesse gran parte dèi suoi averi in medici e medicine, non mi sembrerebbe così strano vedere quel poveretto in tale abbandono, ma non richiedendosi altro che un minimo tempo a immetterlo nell’acqua, non è una gran colpa che, in trentotto anni, non potesse trovare nessun amico, nessun parente, nessun uomo caritatevole, che nemme no di così poco lo favorisse? Ma chi non vede nella disgrazia di questo uomo infelice raffigurata la somma disgrazia delle anime abbandonate del Purgatorio? Altro che trentotto anni vi sono state una gran parte di esse! Chi cento, chi mille e Dio volesse che non ci fosse qualcuna condannata fino al giorno del giudizio!

Eppure, anch’esse vengono spesso a trovarsi senza alcuno che le soccorra e senza una mano pietosa che le sottragga a quel fuoco tormentosissimo. Lasciate, dunque, che io, prendendo oggi le parti di quelle sante anime, vi presenti, in loro vece, una dolente ma giusta lamentela che ognuna di esse vi esprime in commoventi parole: «Non ho alcuno che mi soccorra»: «hominem non habeo». Sono sicuro che questo basterà a fare in modo che voi, vedendo le loro lamentele, vi dichiariate tutte in loro favore e vi adoperiate in ogni modo possibile nel venire in loro soccorso.

Figuratevi sotto i vostri piedi una profondissima caverna la quale, per la vicinanza che ha con l’inferno, vi è molto simile. Vi domina la notte profonda, il suolo si scuote con fremiti spaventosi, la caverna risuona di gemiti, si arroventano i volti di cocentissime fiamme: questa è una leggera immagine del purgatorio.

A confronto di esso, il tormento più grave del nostro mondo non sarebbe che un refrigerio. S. Agostino dice che il fuoco del purgatorio è immensamente più terribile di qualunque supplizio si possa immaginare da mente umana: che, se in quel luogo si potesse trasferire quanto hanno saputo inventare gli uomini di crudele e di inumano, quelle anime sfortunate lo chiamerebbero rose, mentre noi lo chiamiamo spine.

Qui, miei devoti, si trovano le anime dei nostri più cari, qui i nostri parenti, qui i nostri amici. Avremo il coraggio di lasciarli stare più a lungo? Credetemi, voi non mostrate di comprendere che dolori atrocissimi siano i loro, che torture, che spasimo! Anche se voi non sapeste altro di loro, non vi è noto che stanno tutti immersi nel fuoco del purgatorio? È certo che non vi è fuoco più attivo, più operante di quello di un crogiuolo in cui si purga l’argento e si purifica l’oro. Questo fuoco ha forza più potente del nostro, più attività, più veemenza, perché è quasi la somma di tutti i fuochi.

In esso, dice Malachia, il Signore tormenta quelle anime non brevemente e solo, come alcuni credono, di passaggio, ma molto lentamente e molto a lungo. Pene acerbissime sono quelle delle anime purganti, quanto intense, quanto intime, quanto vive! E noi tuttavia non ci muoviamo a misericordia di quegli infelici e non corriamo opportunamente ad estinguere questo gran fuoco o, almeno, a mitigarlo? Anime sconsolate che, con le labbra aride per l’arsura, gridate pietà: «Miseremini mei, miseremini mei!». Pochi, oggi, intendono il vostro male, perciò io vorrei saperlo spiegare in qualche modo per trovare chi abbia pietà di voi.

Ma si può dire, forse, più di quello che ho detto? Sì, si può dire ancora di più, perché quelle anime patiscono tutto ciò in vista del Paradiso. Mirano esse quella patria beata a cui sono elette, la contemplano con godimento, conoscono quella gloria. Ma che vale? Esse sono in carcere e, non sapendo per quanto vi devono ancora stare, si consumano piangendo. Osserva S. Giovanni Crisostomo che, affinché la penitenza di Adamo fosse più aspra, Iddio volle che fosse da lui fatta in un luogo,

posto di fronte al paradiso terrestre da cui era stato cacciato; e in vista di tante amene delizie, lo collocò a sudare e a zappare la terra. Ma che ha a che fare un paradiso terreno con uno celeste? In vista del paradiso celeste penano le anime del purgatorio, che io bramo di raccomandare tanto a voi: qui bruciano, qui spasimano e qui le misere non fanno altro che aver sete del sommo Bene. Loro felici se potessero innalzarsi al Cielo! Cambierebbero quelle grida di angoscia in canti di gioia, trionferebbero rivestite d’oro, e si immergerebbero nel godimento di un bene immenso, non limitato da tempo, non alterato da vicende, non amareggiato da tribolazioni. Insomma, svelatamente andrebbero a vedere Dio.

Immaginatevi con che ardenti brame, con che ansietà una persona, scelta per una grande dignità e già vicina a prenderne possesso, fosse ad un tratto, da mano nemica, arrestata, messa in catene e condannata al carcere; non vi pare che ella stimerebbe più dura, in simile circostanze, la sua prigionia? Ecco la pena di quelle anime, scelte per un possesso di gloria tanto maggiore. Stanno in carcere in vista del paradiso, di quella reggia maestosa che le attende, di quel regno magnifico che le aspetta. Chi può pertanto capire quei gemiti che ogni momento emettono dal cuore? Assalonne non stava in aspra prigionia, ma se ne stava in una città floridissima, quale era Gerusalemme, in corte onorevole, tra cortigiani ossequienti. Con tutto ciò, perché non gli era ancora permesso di comparire innanzi alla faccia del re, suo padre, si stimava infelicissimo, gemeva e gridava e non dubitava di protestare che voleva piuttosto la morte che un tale castigo.

Pensate voi quale deve essere il dolore di quelle anime elette, escluse dalla vista della faccia di Dio, e per giunta tenute in una prigione, che è di fuoco e di fiamme come quella dell’inferno.

E noi, potendo mandarle in libertà, accelerare ad esse un bene così grande come il possesso di Dio, loro Padre, non ci risolveremo a farlo? Le misere aspettano da noi che le soccorriamo e non trovano modo di potersi aiutare da se stesse. Ci costerebbe molto far loro una grazia così segnalata? Udite, miei carissimi, e confondiamoci insieme della nostra inumanità. Meno assai ci vuole per riscattare un’anima del purgatorio, che per ricomprare uno schiavo. Chi è di voi che, potendo con qualche migliaio di lire ricuperare dalle mani dei barbari un fratello, una sorella, una compagna o un amico non lo farebbe più che volentieri? Se non avessimo a disposizione denari, non andremmo subito ad importunare i parenti, ad impegnare i mobili e, se potessimo mandare oggi stesso il riscatto, aspetteremmo forse domani, per dare loro un solo giorno in più di libertà? Ditemi un poco: se con un migliaio di lire potessimo noi spopolare quasi il purgatorio col fare celebrare S. Messe per i defunti, non lo faremmo?

Quante volte col visitare una chiesa, con l’acquisto di una indulgenza, col recitare un Rosario, col fare un atto di mortificazione, con l’applicare una S. Comunione potremmo mettere insieme il prezzo sufficiente per il riscatto di un’anima del purgatorio e, invece, lasciamo che incallisca nei suoi ceppi, mentre con sì leggera fatica glieli potremmo spezzare, perché volasse subito in libertà o almeno alleggerirglieli, finché non sentisse tanto la sua prigionia? Non è questo un abisso di inumanità e di crudeltà?

Tutto il mondo ha sempre ricordato con odio il nome di quelli che, potendo, con loro leggero incomodo, fare ad altri qualche gran beneficio, non l’hanno voluto fare. Nella città di Atene, ogni anno, costoro erano maledetti solennemente sulla pubblica piazza a suoni di trombe. E noi, leggendo la Divina Scrittura, come non detesteremo la villania della donna samaritana, che con tanti pretesti contese a Cristo un sorso d’acqua, mentre già l’attingeva dal pozzo per riempirne i vasi? Potremo non sdegnarci col ricco Epulone, che negò a Lazzaro un pezzo di pane? Eppure, quanto è peggiore la nostra insensibilità verso i morti! Con tanto poco, si tratta non di dissetare un assetato o di sfamare un famelico, ma di rendere felice uno che tollera insieme tutti i tormenti che si patiscono nell’inferno, da cui il purgatorio non diversifica se non nell’eternità. Non è questo, quasi, un godere di vedere quei meschini nei loro spasimi?

Certo, chiunque può impedire, con così poco, il male di un altro e non lo impedisce, è come se lo volesse. Noi, dunque, manteniamo acceso quel fuoco, se non portiamo acqua per estinguerlo; noi teniamo stretti quei ferri, se non aiutiamo a scioglierli; siamo noi che impediamo a quei buoni morti la grazia di uscire dalla loro schiavitù, se a questo fine non vogliamo prestar loro un suffragio.

Non temiamo, con tutto ciò, un rigoroso giudizio per noi? Al morto non negare la grazia: così ci raccomanda lo Spirito Santo nell’Ecclesiastico. E noi, tuttavia, vorremmo impedire ai defunti di salire al cielo? Se non ci muovono a suffragare i morti né i tormenti atrocissimi che essi soffrono nel purgatorio, né l’impossibilità in cui si trovano i poveretti di potersi aiutare da se stessi, ci muova almeno il vantaggio sommo che ne viene a noi.

Sappiamo bene che quelle anime sono piene di gratitudine per i loro benefattori: che esse non si lasciano mai vincere in cortesia. Quale fortuna sarebbe, dunque, la nostra se a qualunque costo arrivassimo a riscattarne molte da quel penosissimo carcere, metterle in libertà e inviarle alla gloria: in questo modo saremmo chiamati i popolatori del cielo. Se ne avessimo mille lassù, che pregassero sempre per la nostra felicità, mille che lassù ci guardassero da ogni pericolo, la nostra vita ci sarebbe prolungata da tutte quelle che, rimaste nel purgatorio, attenderebbero da noi ogni giorno nuovo soccorso.

Gli Angeli Custodi delle anime da noi liberate non ci saprebbero ringraziare abbastanza dell’onore che loro faremmo, mandando in paradiso le loro protette.

Tutti i Santi, tutti i Beati, i quali con perfettissima carità stimano come proprio qualunque bene divino, ci rimarrebbero perpetuamente obbligati, non solo per accogliere tanti compagni, ma molto più per aggiungere tanti lodatori a Dio.

La Santissima Vergine qual bene ci vorrebbe, vedendo per nostro mezzo glorificate quelle anime tanto a lei care!

Che dire dello stesso Cristo, il quale per amore di quelle anime diede la vita? Che dirò dello stesso Dio, il quale per amore di quelle anime donò suo Figlio? Ci guadagneremmo la divina giustizia e la divina misericordia, perché le faremmo presto esercitare le loro parti.

Ci guadagneremmo la divina carità, perché le faremmo adempire i suoi desideri; in una parola, guadagneremmo in nostro favore tutto il Cielo, perché in nessuna cosa il Cielo è tanto interessato, quanto nella gratitudine dei mortali. Che dunque si aspetta? Impegnamoci, dunque, in loro aiuto e concludiamo.

Perché non iniziamo a pensare fin d’ora come possiamo sacrificarci per il bene delle anime del Purgatorio: con digiuni, con preghiere, con atti di carità verso il prossimo, col patire qualche cosa con pazienza e con atti di santa virtù? «Sì, miei cari, fatevi degli amici col denaro del vostro risparmio, che vi conterà molto affinché, quando morirete, le anime da voi salvate vi accolgano negli eterni tabernacoli». Di chi pensate voi che Gesù Cristo intendesse principalmente parlare? Di quei poverini che stanno nel purgatorio. Questi ci potranno recare tanto bene, quando usciremo da questa vita; ci si affolleranno cortesi intorno al letto, ci assisteranno, ci aspetteranno e tutti, a gara ambiranno di condurci, quasi in trionfo, a prendere il possesso dei beni eterni.

Dunque facciamoci amiche le anime del purgatorio. Di che dubitate? Della fedeltà di quelle sante anime, della loro gratitudine, dell’affetto e della memoria? Benefichiamole, poi vedrete quanto ebbe ragione lo Spirito Santo nell’Ecclesiastico quando disse: «Fa’ bene al giusto e ne riceverai grande ricompensa». Amen.