Suore dell'Immacolata

Divine ispirazioni 1

 

LE DIVINE ISPIRAZIONI

(Prima Istruzione)

Le divine ispirazioni sono dette dai santi Padri voce interna e segreta di quello Spirito che Dio, al dire di San Paolo, ha effuso nei nostri cuori e che si fa intendere da noi, parlandoci internamente in varie e diverse maniere: ora con tono minaccioso e severo, ora con miti attrattive, ora con acerbi rimproveri, ora con ammonizioni suadenti ed ora con inviti amorosi.

Così nelle divine scritture la voce dell’ispirazione di Dio viene rassomigliata ora al turbine che schianta i cedri più forti e scuote i deserti più abbandonati, ora al lento spirare di aura leggera che sussurra tra le foglie dei più teneri virgulti. Nel primo modo, cioè con tono minaccioso e severo, il divin Salvatore convertì Saulo sulla via di Damasco e, da fiero persecutore dei nuovi seguaci del Vangelo, lo fece un vaso di elezione per portare il suo nome alle genti ed ai popoli della terra. Nel secondo, cioè con amorevole invito e soave maniera, attirò a sé la donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe, la convertì e, da donna di mondo, ne fece una sua prediletta seguace.

Ora, l’ascoltare una tale voce, il conoscerla, il seguirla viene dato da Gesù Cristo come contrassegno

infallibile di essere nel numero fortunato delle sue pecorelle: «le mie pecore odono la mia voce»; così il non ascoltarla, non conoscerla, non seguirla, si deve temere come indizio manifesto di non appartenere all’ovile di Gesù Cristo.

Persuaso della necessità di trattare un argomento così importante per mostrarvi contemporaneamente il valore e la stima grandissima in cui si deve tenere la grazia attuale di Dio, vi voglio esporre il doppio pericolo in cui si può incorrere riguardo alle divine ispirazioni, cioè il pericolo nel quale incorre, anzitutto, chi non risponde a tutte le ispirazioni di Dio e il pericolo nel quale incorre, in secondo luogo, chi non risponde con prontezza alle divine ispirazioni. Oggi tratteremo solamente del primo, riservandoci di trattare del secondo in un’altra istruzione, per non stancare troppo la vostra pazienza.

Il pericolo a cui si espone chi non risponde a tutte le ispirazioni di Dio si fonda sul fatto che da ciascuna di esse può dipendere la propria salvezza. Dico da ciascuna di esse perché non pensiate che io intenda escludere da tale numero certe ispirazioni che sembrano leggere perché fanno meno strepito nell’anima nostra quando vi entrano, o perché, entrate in essa, ci invitano a cose che a noi sembrano di poco rilievo; di queste, anzi, intendo parlare per prima cosa, mentre ripeto che il trascurare di seguirle mette a grave rischio la nostra eterna salvezza. Eccone la ragione.

Nessuno, dice Gesù Cristo in San Giovanni, può rivolgersi a Dio, se Dio stesso non lo attira a sé. Non che Egli ci costringa e ci tragga a sé per forza, come si trascinavano anticamente le vittime ritrose al sacrificio, ma ci attira con dolcezza e carità, non costringendoci ma allettandoci, non con la violenza, ma con gli inviti e con la misericordia, rispettando in noi quella libertà che Egli stesso ci ha donata: ci attira ma non ci sforza. Ci attira, come Egli stesso disse per bocca del profeta, con vincoli di amore e di soavità: «traham eos in vinculis caritatis».

Questi vincoli così amorosi, così soavi, non sono altro che le sue celesti ispirazioni, la serie ammirabile delle quali, destinata nei disegni di Dio ad accompagnare ciascuno dei nostri passi, è simile ad una catena di diversi anelli che s’intrecciano l’uno con l’altro; l’uno succede all’altro, l’uno si congiunge e dipende dall’altro. Mi spiego: quantunque la prima di tutte le grazie da cui ha principio la nostra predestinazione (si potrebbe dire il primo anello di questa aurea catena), ce la doni Dio per sua spontanea liberalità e misericordia, nondimeno le seconde grazie, che a quella prima succedono, Iddio vuole, come insegnano i santi Padri e tutti i teologi, che siano premio e ricompensa del buon uso fatto di quella prima grazia e così successivamente di tutte le altre dalle quali, quasi da altrettanti anelli, si forma la preziosa catena che ci solleva e ci porta al paradiso. Avviene quindi di conseguenza che, trascurando noi di rispondere anche ad una sola di queste grazie e ispirazioni che Dio ci dà, ci mettiamo a rischio che Egli, in pena della nostra trascuratezza ed infedeltà, lasci di darci quelle altre ispirazioni che ci avrebbe dato in seguito, le quali avrebbero, in noi e con noi, operata infallibilmente la nostra eterna salvezza. Non sarà forse possibile che una sola di queste ispirazioni, forse una semplice rinuncia che noi trascuriamo, interrompa la catena di cui basta rompere un solo anello?

È vero che Dio potrebbe riunirla, e la riunisce infatti molte volte, ma chi ci assicura che Egli voglia farlo sempre e farlo con noi? Intanto l’anima nostra rimane esposta al pericolo di eterna dannazione, causata da quella nostra trascuratezza, non già, intendete bene, come da causa prossima e immediata, ma come da causa remota. State bene attente: non è peccato mortale assecondare, per esempio, quella curiosità che ci sentiamo sollecitati da un certo segreto impulso a mortificare; omettere, nelle ore di silenzio o di riposo, la lettura di quel libro devoto che una certa ispirazione del Signore ci invita a leggere; non andare, dopo il pranzo e la cena, a far la visita al SS. Sacramento mentre una voce interna del Signore ci dice: «Perché non fai tu come le altre tue consorelle più devote e più fervorose?». Non è gran cosa non osservare rigorosamente il silenzio in tempo stabilito, non pregare con quella compostezza e quel raccoglimento che conviene a persone religiose, non reprimere con carità quelle antipatie, quelle piccole avversioni, quei sentimenti che ci nascono sovente nel cuore contro chi ci scontrò in qualche modo.

Non è gran cosa, io dico, trascurare qualcuna di queste minuzie, ma è gran cosa trascurare un aiuto divino che ci assista, avvalori, conforti in una tentazione violenta d’ira, di vendetta o di altro che, dopo le leggere mancanze, ci assale ed a cui spesso miseramente cediamo.

Gran cosa è l’aiuto continuo e forte, mediante il quale ci manteniamo costanti in uno stile di vita veramente religioso: lontano da ogni parzialità e privato interesse, ricco di affabilità, di dolcezza, di umiltà con tutti, e specialmente verso le persone che più ci hanno offeso, accogliendo e trattando tutti con carità, è l’anima e lo spirito della comunità religiosa, che tutti unisce in Gesù Cristo. Gran cosa insomma è un aiuto celeste che ci metta in mano la palma e in capo la corona della santità.

Questo aiuto, ossia questa grazia divina, Iddio non è obbligato a darcela per alcuna legge di giustizia, né di provvidenza, né di carità: esso sarà sempre una grazia e perciò sarà sempre un dono, mai il pagamento di un debito.

Egli tuttavia spesso lo accorda, ma a patto che noi eseguiamo la tale opera che non abbiamo obbligo di esercitare. Mostrandoci liberali con Dio, Dio stesso dà a noi quella grazia che non ci avrebbe dato diversamente e che infine ci salva.

Osservate Zaccheo che, desideroso di conoscere il divino Maestro che, accompagnato da gran turba, passava di là, si era arrampicato su un albero per poterlo meglio vedere; notate come il Salvatore, giunto ai piedi di quell’albero, si fermò all’improvviso e, alzando amorosamente lo sguardo verso Zaccheo che se ne stava quieto e sicuro tra quelle fronde, osservandolo attentamente gli disse: «Zaccheo, che fai tu qui? Scendi presto e vai a prepararmi l’alloggio, perché io voglio quest’oggi trattenermi con te in casa tua». Gran confidenza invitarsi da sé presso una persona che non conosce nemmeno, gran confidenza! Zaccheo avrebbe potuto rispondere che lo ringraziava dell’onore che gli faceva, ma che non sapeva quale obbligo avesse di accettarlo, come appunto facciamo noi quando ci viene suggerito di fare questa o quell’altra cosa non comandata espressamente dalla legge di Dio. Dice Sant’Ambrogio: «Gesù, non invitato da Zaccheo, si invita da se stesso, né alcun obbligo ha Zaccheo di accoglierlo in casa sua, ma se Zaccheo non lo avesse accolto, avrebbe egli ricevuto da Gesù Cristo la salvezza dell’anima, come appunto riceverà quel giorno stesso, in premio di quell’atto di ospitalità, praticato senza averne alcun obbligo? Dico di no, che anzi è molto probabile che Zaccheo sarebbe rimasto nelle sue tenebre, né mai si sarebbe convertito alla fede. Eppure, se Zaccheo è salvo deve riconoscere la sua salvezza eterna da questo atto di generosità che esercitò verso Gesù Cristo».

Così, san Nicola da Tolentino riconosceva la sua santità dall’aver udito con attenzione una predica, sant’Ignazio di Loyola dall’aver letto un libro devoto e san Francesco Borgia dall’aver veduto un cadavere putrefatto.

E quel gran padre degli eremi, sant’Antonio, non deve la sua ammirabile perfezione all’aver partecipato a una santa Messa e udito con attenzione il Vangelo? E notate che molte volte Antonio aveva già partecipato al divino sacrificio, molte volte aveva sentito leggere dall’altare il santo Vangelo e non ne restò mai né ferito né penetrato. In quel tale giorno, dunque, in quella tale ora, ih quella circostanza, Iddio lo aspettava per attirarlo a Sé. Se Antonio non avesse prestato orecchio a quella ispirazione che gli suggeriva di partecipare a quella Messa, che sarebbe stato di lui? Sarebbe egli divenuto quel grande santo che divenne? Forse no perché, non sentendo nessun impulso ad abbandonare patria, casa e ricchezze, come infatti poi abbandonò, sarebbe rimasto quale era nel mondo e quindi si sarebbero verificati riguardo a lui una serie di avvenimenti diversi, che lo avrebbero condotto a diversissimo fine.

Non ho forse io ragione di affermare che chi non risponde a tutte le ispirazioni corre gran rischio di perdersi eternamente? Che l’anima, trascurata nel seguire le ispirazioni celesti, mette in evidente pericolo la propria salvezza eterna perché Dio, in pena delle sue infedeltà e trascuratezze, non la chiamerà più a ravvedimento e così ella, accecata dalle sue passioni poiché tutto le sembrava niente, andrà sempre di male in peggio, dalle venialità cadrà nelle colpe gravi e finirà per precipitare nell’inferno. L’anima, la quale fa la sorda alla voce di Dio che si manifesta con la predicazione dei suoi servi, o con il buon esempio delle consorelle, o con gli amorevoli avvisi del confessore o di altri che desiderano il suo bene, ed a certi interni impulsi che la invitano a passare dallo stato di colpa a quello di grazia e dalla dissipazione al raccoglimento, rischia di cadere sempre più in basso e di perdersi.

Vari e diversi profeti mandò il Signore a Gerusalemme perché l’avvisassero degli errori in cui viveva e la esortassero con tutta la forza del loro zelo a ritornare sulla via dei suoi comandamenti, che aveva abbandonato per vivere a modo suo e seguire i suoi capricci. Gerusalemme, però, anziché aprire gli occhi, emendarsi e accettare gli amorevoli inviti che le inviava il cielo e riformare i propri costumi, derise la premura che si prendevano quegli ambasciatori celesti, scherzò sui loro detti e, nonostante i terribili castighi che da parte di Dio questi le minacciarono, continuò a vivere allegramente nei suoi disordini finché, nel suo furore, giunse a prendere a sassate e lapidare i profeti per non sentirsi più da questi rimproverare. Viene lo stesso Figlio di Dio in terra, si fa uno di noi, insegna pubblicamente e Gerusalemme continua ancora nei suoi errori ostinatamente; anzi, si arma di odio, di intolleranza, di calunnie, di malignità contro Gesù Cristo stesso e lo mette a morte fuori delle sue mura. Ma dopo tanta ostinazione, tanta resistenza alle divine ispirazioni, come andò a finire Gerusalemme? Voi lo sapete, mie suore. Dopo quarant’anni dalla morte del Salvatore vennero i Romani, strinsero di durissimo assedio quella spensierata città, ne atterrarono le porte, entrarono in città, ne distrussero il tempio, massacrarono gli abitanti, distrussero i fabbricati in modo che non restò pietra su pietra, come era stato minacciato e predetto: tutto ciò per non aver voluto ascoltare in tempo la chiamata di Dio né le sue ispirazioni e profittare del tempo che le fu concesso per emendarsi.

Ora, come dicevo, Gerusalemme è figura dell’anima infedele e sorda alle cose della divina misericordia; se noi, dunque, non accoglieremo tutte le divine ispirazioni, non dovremo temere di noi stessi? Ora che il Signore ci chiama a vita perfetta, che ci dà, per questa, tanti impulsi al cuore, tanti lumi alla mente, tanti avvisi e tanti incitamenti per mezzo dei suoi ministri che lo rappresentano sulla terra, noi, sotto l’uno o l’altro pretesto, cercheremo di schermirci dal secondare queste voci divine? Continueremo la nostra condotta, come se per noi non ci fosse né la correzione fraterna, né gli avvisi dei confessori, né le preghiere degli amici, né i buoni esempi delle compagne? Seguiteremo a vivere dissipate, addu-cendo scuse per giustificare il nostro operare fino a giungere quasi a farci credere le persone più innocenti? Se noi ci diporteremo in questo modo, non metteremo a pericolo l’anima nostra? Potremo forse sperare che, non seguendo ora le ispirazioni di Dio, vorrà Egli usarci un giorno misericordia? No: anzi, c’è da temere tutto il contrario, poiché è scritto nel libro divino della Sapienza che non troverà presso Dio misericordia chi avrà fatto il sordo alle divine ispirazioni.

Apriamo, dunque, il nostro cuore, o mie sorelle, alle voci di Dio, rispondiamo prontamente a tutte le sue sante ispirazioni, poiché, come vedete, ed io vi ho dimostrato, il trascurarne anche una sola mette in pericolo di perdersi eternamente. Che mai non sia! Amen.