IL PARADISO
Al paradiso, al paradiso, mie carissime, al paradiso !
Vi è qualcuna fra voi che non sia desiderosa di salire a tanta gloria? In questa valle di pianto, dovunque ci rivolgiamo, non vediamo altro che miserie. Si lamenta il superiore dei sudditi, questi si lamentano dei superiori; si lamenta il servo del padrone, il padrone del servo, e nessuno vive pienamente contento della sua sorte. E noi desideriamo di dimorare più a lungo in un luogo così miserabile?
Al paradiso, al paradiso, mie dilettissime, al paradiso!
Se non possiamo per ora andarci con il corpo, andiamoci con lo spirito; se non possiamo dimorarci ora con la presenza, dimoriamoci con il pensiero. Lassù, in quella patria beata, ci attende Iddio per darci larga ricompensa delle sofferenze per Lui sofferte in questa valle di lacrime, delle mortificazioni per Lui fatte, degli ossequi a Lui prestati, di quanto, insomma, avremo operato quaggiù a sua gloria e a suo onore.
Ma come faremo a giungere tanto in alto? Come faremo? Non dubitate! Io prenderò in prestito il carro del Profeta Elia e, saliti su quello, giungeremo felicemente alla meta. Io, sollevandomi sulle nubi, vi rappresenterò oggi niente altro che il primo ingresso di un’anima nella gloria, e non solo vi farò gioire, non solo vi farò esultare di giubilo come Pietro, quando sul Tabor mirò un piccolo barlume di quella gloria, ma forse ve lo farò amare in maniera che vi farò dire con S. Paolo: «Strappatemi queste catene, spezzatemi questi ceppi, che io non ne posso più».
Si figuri qualcuna di voi di essere già arrivata all’ora, nella quale ella dovrà lasciare la terra per il paradiso. Si congedi pure da tutti: Addio, parenti, addio, amici, addio, compagne, addio; restate in pace, il paradiso mi aspetta.
Quindi spiccate col vostro spirito un salto sul profetico carro già preparato; io vi terrò compagnia: su, leviamoci a volo.
Vedremo che il sole è il cuore del mondo, donde si diffonde continuamente la vita alle erbe, ai fiori, alle biade, agli alberi, agli animali; lo vedremo regolare i giorni, misurare l’anno e dividere le stagioni. A questa vista esclameremo: «O grandezza di Dio, quale sarai nella tua viva beltà, se tale appari in una tua pallida immagine? Presto, presto, arriviamo all’Empireo; eccoci, dunque, in vista del paradiso.
Altro che città terrene, che palazzi, che fabbricati! Ecco l’Empireo, cara patria dei viventi, delizioso rifugio dei tribolati, desiderato porto dei naufraghi! Non vi parrà assai bello? Miratelo attentamente. Vedete voi quella maestosa città, la più splendida e la più sublime? Non vi è misura che possa misurare la vastità del suo circuito; non cristalli che possano assomigliare alla trasparenza delle sue mura. Questa sì, che è una città di totale bellezza! Dodici vastissime porte sono in essa formate da dodici svariatissime margherite. Che struttura magnifica! Che maestosa apparenza! Ben si conosce che qui si trova, finalmente, la casa di Dio!
Scendiamo, dunque, allegramente dal carro che ci ha condotti: picchiamo e facciamoci udire. Ma che serve? Le porte del paradiso si apriranno da sole e subito vi verrà incontro un coro di Angeli i quali, con festosa sinfonia di strumenti e con applausi di voci, intoneranno quel famoso versetto: «Intra in gaudium Domini tui». Con queste poche parole, vi vogliono subito dichiarare la grandezza della vostra futura beatitudine, che è quanto dire una beatitudine immensa ed infinita.
Qui mi immagino che gli Angeli vi condurranno per una strada lastricata d’oro ai piedi del divin trono. Qui tutti riconoscono come proprio il bene di ciascuno; la moltitudine ivi non genera confusione, l’ineguaglianza non distoglie l’amicizia, ivi tutto è concordia, tutto è corrispondenza, tutto è pace. Pace dell’uomo con Dio, pace degli inferiori coi superiori, pace del corpo con l’anima, pace del desiderio con la ragione.
Alla notizia del vostro arrivo, tutti i beati faranno subito a gara per incontrarvi. Che sarà allora di voi, quando scorgerete fra questi alcuni di quei vostri parenti così diletti, o di quelle vostre amiche care, che vi hanno precedute nella morte? Come getterete loro le braccia al collo! Che saluto farete loro e che baci di amore sincero! Già vi è resa l’eterna compagnia di coloro di cui tanto piangeste per una breve assenza! «O mio dolcissimo padre, mia carissima madre, io dunque vi rivedo? O quanto vi riacquisto più belli di quando vi ho perduto! Vi ricordate quando laggiù, tra noi, dicevamo che sarebbe stato di noi per tutta l’eternità? Eccoci ora insieme, senza timore che più alcuno ci divida!».
Credetemi, mie sorelle, non sarà minore il vostro giubilo, quando tra questi riconoscerete quei santi da voi già onorati con culto particolare; quando vedrete un Pietro, principe della Chiesa, un Paolo, predicatore delle genti, un Giuseppe sposo della Santissima Vergine, un Bernardo, un Agostino, un Domenico, un Francesco, un Antonio da Padova, un Luigi Gonzaga, una Caterina da Genova, e conoscerete quel Santo di cui già tanto frequentaste gli altari e per cui digiunaste tanto ed in tante maniere vi adoperaste per promuoverne la devozione. Se io non erro, voi vorreste gettarvi ossequienti ai loro piedi per riverirli, ma essi, non permettendolo, vi prenderanno per mano, ricordandovi che non siete più loro devoti, ma loro concittadini e loro compagni e, quel che importa di più, siete familiari di Dio.
Con questa nobilissima compagnia vi avvicinerete alla dimora della suprema divinità e, dopo avere con maggiori espressioni di vera riverenza riconosciuto su un trono a destra Gesù, vostro caro Sposo e su un altro trono alla sinistra Maria, vostra amabilissima protettri-ce, vi sarà subito confortata la mente di un potentissimo lume e vedrete, in un abisso di splendore e di maestà, vedrete Dio!
Vedrete Dio? E che vuol dire, mie Suore, vedere Dio? Che mi si rafforzi il pensiero, che mi si muova adeguatamente la lingua, onde io possa in parte spiegarvi quel che vedrete.
Vedrete Colui che è la beatitudine universale di tutte le creature, Colui che dà l’essere a tutti e da nessuno lo riceve; a tutti dà vita e da nessuno la prende; a tutti dà forza, e da nessuno la riceve.
Vedendo Lui, non pensate di vedere alcuno di questi oggetti che vedete fuori di Lui. Questi sono creati ed Egli increato; questi materiali ed Egli semplicissimo; questi sono relativi ed Egli assoluto; questi limitati ed Egli infinito; questi caduchi ed Egli immortale; questi difettosi ed Egli perfettissimo. Vedrete in Lui le perfezioni di tutte le creature, non vedrete in Lui alcun difetto. In Lui vedrete candore, ma senza macchia; in Lui bellezza, ma non soggetta a diminuzione; in Lui potenza, ma senza pesi; in Lui sapere, ma non dipendente da magistero; in Lui bontà, ma non sottoposta alle passioni; in Lui vita, ma non dominata dalla morte. Che più? Vedrete Dio, vedrete Dio. Videbitis eum, sicut est. Che sarà del vostro cuore a quel primo sguardo? Che slanci di amore voi sentirete, che fiamme di carità, che estasi, che dolcezze! Allora sì, che adorerete umilmente tanta Maestà e, quasi stimandovi indegne di così grande bene, vorrete sospirare, vorrete piangere per uno sfogo di tenerezza, ma non vi sarà permesso. Iddio stesso, con le Sue mani, asciugherà il vostro pianto.
Ricorderete voi i vostri digiuni, le vostre discipline, le vostre mortificazioni passate, quantunque asprissi-me? No, no; anzi, sentite ciò che dicono tutti i Beati concordemente. Non diciamo di aver sofferto i mali antichi, ma diciamo di averli soltanto veduti, perché anche i martirii più fieri, le croci, le catene, gli aculei furono un sogno, paragonati al diletto e alla gloria che poi ne seguì
Io credo che voi vorreste sapere da me in quali sentimenti, in quali atti, in quali parole voi proromperete ad una tale vista, ma non me lo domandate, perché io non lo so. So benissimo quello che ho già preparato di fare io stesso. Venga l’ora così beata che io mi veda ammesso al possesso di tanta gloria, che io mi trovi un giorno all’abbraccio di quei piedi, alla vista di quella Faccia divina, cioè alla vista del mio Dio, che troppo eccessiva è stata la sua bontà nel voler salvare una misera creatura come me, che meriterei di bruciare tra mille fiamme, non di godere di tanto bene, che ben conosco che tutto è suo beneficio, senza alcuno mio merito. Voglio aggiungere che questo stesso è il mio maggior godimento: che la mia beatitudine non mi sarebbe tanto cara se fosse merito delle mie opere, quanto mi è gradita, invece, godendola tutta per favore di Dio.
Che gioia pensare che io sempre più l’amerò, il mio Dio, e che questo è il mio giubilo. Gli voglio dire che se io godo di contemplarlo, non è per la felicità che me ne viene, ma per quella che vedo in Lui.
Gli voglio dire che per Lui darei mille vite, che io per Lui patirei mille inferni e che se, non vedendo Lui, potessi aggiungerGli un solo grado di gloria, ancorché accidentale, sceglierei di non più vederlo, anche dopo averlo visto.
Queste e molte altre cose io ho pensato di dirgli, se verrà per me quel momento così fortunato di vederLo faccia a faccia.
S. Tommaso dice che nella maniera che il fuoco penetra il ferro e lo trasforma nella sua stessa natura, così Dio mi penetri tanto profondamente che mi trasformi così vivamente in Lui, che io possa essere Dio, e Dio possa essere me. Come il ferro possa essere fuoco, e il fuoco possa essere ferro. Ma che sogno, io misero, tra pensieri così alti, tra estasi così sublimi?
Quando verrà quest’ora, quando verrà? Lacci troppo importuni che mi tenete imprigionato lo spirito, quando vi romperete? Quando sarà che io voli libero a contemplare il mio Dio? O vita troppo lunga, o morte troppo lontana! Mi è morte il vivere, mi sarebbe vita il morire!
Monti, valli, pianure, giardini e prati, io non mi curo più di voi. Che posso io di bello mirare in terra a confronto di ciò che mi aspetta in cielo? Tenetevi pure tutte le vostre gioie, o persone di mondo, i vostri passatempi, i vostri piaceri, io non vi invidio.
Paradiso, paradiso! Un solo momento in quella beatitudine che io spero, non dico nell’intimo del santuario, ma solamente sulla soglia, «in atriis Domini», mi darà più godimento che non avrete goduto voi, tutti insieme, dal principio del mondo sino alla fine.
O ingresso fortunato di un’anima nella gloria! O giorno di allegrezza e di trionfo! Mi confondo, mi perdo. Signore mio, né so più dove mi trovi: «Sive in corpore, sive extra corpus, nescio».
Risolviamoci, dunque, di voler dare da oggi stesso un rifiuto deciso a quanto ci potrà offrire la terra.
Se io posposi te, città di Dio, alla terra, non fu perché tu lo meritassi, fu solo perché io non ti conobbi. Ma chi sarà che possa più da qui innanzi staccarmi da te? Non le tribolazioni, perché tu me le cambierai in soavissime contentezze, non le angustie, perché tu me le muterai in placidissima pace, non i pericoli, perché tu me li convertirai in sicurezza, non le persecuzioni, perché tu me le compenserai in gloriosi trionfi. No, neppure le spade mi potranno separare da te, bella patria del cielo, perché tu trasformerai il loro ferro in oro, le loro punte in raggi, i loro profili in corona.
Tanto è vero, che nulla hanno a che fare con la gloria del paradiso tutti i patimenti di questa terra.
A Te, o Signore, sospirerò di notte, a Te di giorno; perché non posso spiccare, ora, un bel volo per arrivarvi? A te, o Dio, dedico i miei pensieri, in te depongo il mio cuore, a te consacro il mio spirito.
Felice me, se tu volessi ricevere tutto me stesso, come io volentieri te lo darei! Che se neghi di riceverlo, almeno per adesso, mi rimarrò ancora in questo esilio, ma solamente al fine di perfezionarmi nella virtù, onde rendermi meno indegno di quella gloria che in te mi aspetta. Amen.