Suore dell'Immacolata

Testimonianza Cristo

 

La promessa dello Spirito Santo

Dal brano del Vangelo di S. Giovanni: 16, 2-3

  1. «… sed venit hora, ut omnis, qui interficit vos,
  2. arbitretur obseqium se praestare Deo. Et haec facient, quia non noverunt Patrem, neque me…».

TESTIMONIANZA CHE SI DEVE RENDERE A GESÙ CRISTO

Al capitolo 16 del Vangelo di S. Giovanni Gesù Cristo predice ai suoi Apostoli che, dopo essere Egli ritornato in cielo alla destra del Padre, essi dovranno soffrire grandi tribolazioni ed essere odiati e perseguitati dagli uomini, tanto che chiunque darà loro la morte, crederà di rendere ossequio a Dio. Gesù, però, nello stesso tempo incoraggia i suoi discepoli a confidare molto, perché egli avrebbe mandato dal Paradiso lo Spirito Santo, Spirito di verità che procede dal Padre il quale, rendendo agli uomini testimonianza di Gesù, li avrebbe consolati moltissimo e incoraggiati, in modo che anch’essi avrebbero, a loro volta, reso testimonianza a Gesù, essendo stati con lui fin dal principio. Leggiamo nel Vangelo citato: «Viene l’ora in cui chi vi ucciderà, crederà di prestare ossequio a Dio», ma quando sarà venuto il Paraclito che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità che procede dal Padre, Egli renderà testimonianza di me ed anche voi mi darete testimonianza perché è dall’inizio che siete con me.

Vediamo un po’, mie Suore: a) chi sia questo Spirito divino che Gesù Cristo promise e mandò poi realmente nel giorno della Pentecoste ai suoi Apostoli e, nella loro persona, a tutta la Chiesa; b) come questo Spirito Paraclito, venuto sulla terra, abbia reso testimonianza a Gesù Cristo; e) come, investiti e corroborati da questo Spirito, anche gli Apostoli abbiano reso testimonianza a Gesù Cristo; d) come, fortificati da questo stesso Spirito, noi pure dobbiamo rendergli testimonianza, se bramiamo essere nel numero dei suoi eletti. Vi spiegherò tutto con la massima brevità, per non stancare troppo la vostra pazienza.

a) Lo Spirito Santo non è altro che la terza persona della SS. Trinità, cioè il reciproco amore sostanziale che unisce il Padre al Figlio; di conseguenza, è Dio come loro. Procedente da tutte e due queste divine Persone e mandato nel mondo, è col Padre e col Figlio adorato e glorificato, come dice la Chiesa nel Credo niceno-costantinopolitano, perché Egli, col Padre e col Figlio, non è che un solo e medesimo Dio. Questo divino Spirito è poi chiamato da Gesù Cristo stesso Paraclito, cioè consolatore, perché Egli è conforto e sollievo nella tribolazione, riposo e quiete nelle fatiche, fortezza e sostegno nelle persecuzioni anche le più crudeli, come chiaramente si vide negli Apostoli, dopo che l’ebbero ricevuto, e in tutti i martiri i quali, tra le fiamme più ardenti, fra le spade più acute e più penetranti, fra le bestie più feroci e indomite, fra gli strazi più angosciosi ed i più inauditi tormenti, sereni e festosi andassero incontro alla morte, ritenendo sommo onore e somma gloria il poter soffrire e morire per Gesù Cristo.

Lo Spirito Santo, inoltre, viene chiamato Spirito di verità per due ragioni: 1) per farci intendere sempre meglio che Egli è Dio, cioè, come spiega un dotto interprete, che Egli è lo Spirito stesso del Figlio, il quale è verità per essenza che sussiste nel Padre. 2) Lo Spirito Santo vien detto Spirito di verità per farcelo distinguere dallo spirito del mondo, che è spirito di menzogna e di finzione.

b) Questo divino Spirito doveva rendere testimonianza di Gesù Cristo, vale a dire della divinità e dell’innocenza del Figlio di Dio e far conoscere al mondo che questo Figlio, Uomo-Dio, senza colpa soffrì gli odii e le persecuzioni dei malvagi. Questa testimonianza cominciò a rendergliela invisibilmente là sul Calvario, quando cambiò all’istante il cuore del Centurione, che testimoniò che Colui che avevano crocifisso era veramente il Figlio di Dio. Poi, rese visibilmente testimonianza il giorno della Pentecoste, quando migliaia di Ebrei in quel giorno riconobbero e confessarono la divinità e l’innocenza di Gesù Cristo, abbracciarono quindi la sua fede e si diedero a praticare le sue massime e i suoi esempi.

e) Alla testimonianza dello Spirito Santo intorno alla divina Persona di Gesù Cristo si doveva aggiungere anche quella degli Apostoli perché, essendo essi stati in compagnia di Gesù fin dal principio della predicazione, erano stati pure testimoni della sua condotta. Per mezzo di queste due testimonianze restò veramente confusa e convinta la cattiveria ebraica e, alla chiara luce di tale verità, aprirono gli occhi e si convertirono i ciechi pagani.

Gli Apostoli, alla testimonianza che lo Spirito Santo rese di Gesù Cristo a loro e a tutto il mondo, convinti perfettamente della divinità ed eccellenza del personaggio che avevano seguito, abbracciarono intrepidi i travagli e le persecuzioni che il divino Maestro aveva loro predetto che avrebbero sostenuto per la dilatazione della fede e per la sua gloria. Di fronte ai più fieri tormenti e alle più inaudite carneficine ed alla morte stessa non rinunciarono mai, finché ebbero vita, ad annunciare il Vangelo a tutte le genti e a predicare Gesù Cristo santo e vero Salvatore del mondo. Ogni sorta di persone, alla loro predicazione, piegava riverente la fronte ed abbracciava la fede, poiché essi, con i prodigi e con i miracoli più strepitosi, confermavano ciò che dicevano con le parole.

Come bene corrisposero gli Apostoli al disegno del loro divino Maestro! Come adempirono con coraggio la missione di annunziare il Vangelo per tutta la terra, nonostante le infinite opposizioni degli uomini e dei demoni! Cercate di immaginare questi uomini, animati e fortificati dallo Spirito Santo, comparire dinanzi ai re ed ai principi, confessare Gesù Cristo come vero Dio e annientare i loro nemici con l’abolire le antiche superstizioni, con lo spezzare gli idoli, rovinare i templi dei falsi dei, col bandire l’idolatria e allontanare i vizi; inalberare, insomma, dappertutto la Croce e far fiorire tutte le virtù, a costo del loro sangue. Ora che dite, Sorelle mie? Che dice a noi il nostro cuore, a sì nobili esempi? Anche noi dobbiamo rendere testimonianza al Vangelo di Gesù Cristo, perché ciò che diceva Gesù Cristo agli Apostoli, tramite loro, lo diceva a tutti i suoi fedeli.

d) Quale testimonianza noi dobbiamo quindi dare a Gesù Cristo? Sappiamo che noi siamo cristiani per la croce e che rinunziare alla croce è lo stesso che rinunziare alla fede che abbiamo professato nel santo Battesimo, poiché la croce ne è distintivo. Sappiamo che non possiamo partecipare dei godimenti di Gesù Cristo in Cielo se non partecipando, prima, alle sue umiliazioni e ai suoi dolori in terra. Sappiamo che Gesù stesso dice: «Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso e porti la sua croce». Sappiamo che nel Regno dei Cieli non si entra se non per la strada di molte tribolazioni. Domandiamoci allora: dov’è la nostra costanza, la nostra umiltà, la nostra pazienza e rassegnazione? Se noi esaminiamo bene la nostra condotta, vediamo che siamo anche noi di quelli che credono in un modo e operano in un altro. Credono che Gesù sia stato odiato e perseguitato dagli uomini, anche da quelli ai quali aveva fatto maggior bene, che tutto abbia sopportato con somma pazienza, ma intanto vogliono essere rispettati e onorati da tutti e, se qualcuno li scontra, si conturbano, s’inquietano, si adirano e non finiscono mai di lagnarsene.

Credono che Gesù si sia levato da mensa per lavare i piedi ai suoi discepoli, anche a Giuda che doveva tradirlo, e abbia comandato a noi di fare lo stesso, cioè di lavarci i piedi, cioè di compatirci, come spiegano i sacri interpreti, l’uno con l’altro nelle nostre debolezze: «Vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io, così facciate anche voi», ma intanto non vogliono sopportare in pace la benché minima molestia che venga loro recata, si infastidiscono per nulla e si offendono di ogni parola un po’ forte. Uno sgarbo che venga loro fatto, un dispiacere che venga loro dato, basta a far perdere loro la pazienza.

Credono che Gesù sulla Croce, carico di ignominie e di obbrobri, abbia perdonato di buon cuore a tutti i suoi offensori e abbia pregato per gli stessi suoi crocifissori comandando a noi pure di fare del bene a chi ci fa del male, di perdonare a chi ci offende, di pregare per chi ci calunnia, ci maligna e ci perseguita, ma intanto portano odio e rancore per mesi ed anni, nutrono desideri di vendetta e si compiacciono di ogni avversità che colpisca chi aveva fatto loro un torto o un’ingiuria. Segno evidente di vero odio, quantunque si dica di aver niente con nessuno. Quando si perdona proprio di cuore, al sopravvenire di una contrarietà e di una pena a coloro che ci avevano offeso non se ne prova piacere, ma anzi si prova rincrescimento come di qualunque altro nostro prossimo.

Una fede così discorde dalle opere, credete voi che possa farci rendere a Gesù Cristo quella testimonianza che noi gli dobbiamo? Se gli Apostoli avessero predicato una cosa e ne avessero praticata un’altra assai diversa, se avessero detto di doversi adorare come vero Figlio di Dio Gesù Cristo Crocifisso e regolare la propria vita secondo i suoi insegnamenti e poi non avessero voluto, per amore di questo Uomo-Dio, sopportare in pace una sola piccola ingiuria, un minimo torto, un maltrattamento, una calunnia, un disprezzo, una tribolazione qualunque, credete voi che i popoli a cui predicavano avrebbero tenuta per vera la dottrina e la fede che annunziavano? Certamente no! Avrebbero infatti sempre potuto rispondere loro: «Se è vero ciò voi ci predicate, perché non fate voi stessi quello che insegnate agli altri?».

I Santi Apostoli, però, non udirono mai questo rimprovero, perché essi, ad imitazione del loro divino Maestro, praticavano prima loro stessi quello che andavano predicando e, in tal modo, resero a Gesù Cristo quella vera testimonianza che Egli richiedeva loro. Sapevano, perché glielo aveva detto Gesù stesso, che il servo non è da più del padrone, cioè non è trattato meglio di lui; per questo essi non rifiutarono mai nulla, abbracciarono di buon cuore ignominie, disprezzi, calunnie, ingiurie e patimenti di ogni genere e anche la morte stessa, perché anche Gesù nulla aveva rifiutato e tutto aveva sopportato per nostro amore.

Rendiamo dunque, Sorelle mie, anche noi a Gesù Cristo la nostra testimonianza, ma rendiamogliela vera, come i Santi Apostoli, cioè in fatti ed in parole. Con i fatti, praticando gli insegnamenti che Egli ci diede, uniformando cioè le nostre opere e il nostro vivere alle verità della fede che crediamo, non essendo mai di quelli che credono ciò che insegna la fede, ma poi vivono come meglio piace loro.

Rendiamo, poi, questa testimonianza a Gesù anche in parole: non solo, cioè, col non fare mai discorsi opposti agli insegnamenti e alle massime da Lui predicate, ma anche col procurare, come possiamo, di farlo conoscere ed amare anche dagli altri. Non vergognamoci mai di seguire Gesù, come facevano gli Apostoli, anche nelle umiliazioni e nei disprezzi; patiamo volentieri con Lui e sopportiamo con Lui in santa pace qualunque contrarietà e travaglio, perché il patire con rassegnazione, senza risentimenti e lamentele, è appunto il vero carattere che ci fa riconoscere quali veri seguaci di Cristo.

Sì, Sorelle mie, lo torno a dire, noi non siamo cristiani e tanto meno persone religiose se non per la croce, cioè per il patire: rinunciare alla croce e ai patimenti è quasi la stessa cosa che rinunziare alla religione che abbiamo professata nel S. Battesimo, poiché nessuno può sperare di essere un giorno a parte dei godimenti di Gesù Cristo in Cielo. Se prima non avrà patito con Gesù in questo mondo, non gli sarà dato di godere con Gesù nel Paradiso. Egli stesso, il buon Gesù, ci anima e ci incoraggia a rendergli come testimonianza il negare la nostra volontà e il portare la croce con Lui, ricordandoci che chiunque lo avrà glorificato, cioè imitato qui sulla terra, sarà glorificato nel Cielo dal Padre suo.

Coraggio, dunque, Sorelle mie, non temiamo le dicerie dei poco pazienti e le ragioni degli svogliati nel bene, ma abbracciamo volentieri la croce e ricordiamoci che non vi è virtù senza patire, né merito senza pazienza.

Se noi togliamo la croce alla carità, essa diventa naturale ed umana; se la togliamo all’umiltà, essa diviene una vanità; se la togliamo alla fortezza, essa non sarà che debolezza ed infermità. Le piaghe di N.S. Gesù Cristo sono quelle che danno valore alla virtù mentre, schivando il patire, anche la virtù viene distrutta. Al contrario, una persona amante dei patimenti è una persona perfetta: tutte le sue virtù hanno dell’eroico e del divino. Ella crede che Dio l’ami quando l’affligge e che l’accarezzi quando la percuote, spera contro ogni speranza, mantenendosi tranquilla in tutte le contrarietà, infaticabile in tutti i lavori, immobile e costante in tutti gli eventi. Ama Dio anche se non l’accarezza e le si mostra, anzi, severo; bacia la verga che la percuote e la mano che la flagella. Si lascia, in una parola, sacrificare ritenendosi degna di tutti i mali ed immeritevole di qualsiasi bene.

Ora può esservi, sorelle mie, fede più viva di questa, speranza più ferma, carità più ardente, ubbidienza più perfetta, umiltà più profonda? Ecco, dunque, come la croce, le tribolazioni, i travagli concorrono a rendere più bella, più risplendente e più meritoria la virtù. Quanto ai patimenti, dobbiamo affezionarvici se vogliamo dare a Gesù Cristo, Signor Nostro, quella vera testimonianza che Egli richiede da noi e che noi siamo obbligati a rendergli a qualunque costo.

Amen.