Suore dell'Immacolata

Venerdi Santo

 

VENERDÌ SANTO: MEDITAZIONE SUI DOLORI DI MARIA

Oggi la migliore di tutte le Madri perde il migliore di tutti i Figli: è Maria che perde Gesù e lo perde nel più barbaro modo e nel più lacrimevole stato. Come esprimere l’inesprimibile dolore del cuore di Maria?

Come posso io commentarvi, con i miei detti, un argomento così efficace a richiamare la vostra attenzione e contemplare un martirio così straordinario che, come fece agonizzare l’anima della Vergine, così vuole che soffra l’anima di chi ascolta? Ciò nonostante, io non debbo venir meno al mio dovere, e sono costretto oggi a parlare dell’Addolorata; lasciate almeno che, al ricordo lugubre del dolore, io unisca una consolante pausa e vi inviti da una parte a vedere quanto patì Maria nella passione del Figlio e dall’altra a considerare quanto meritò nella sua massima sofferenza. Così voi riconoscerete in Maria la grande donna simboleggiata in quella mirra eletta, che non lascia di spargere all’intorno la fragranza del più soave profumo.

Il singolare martirio della beatissima Vergine era già stato predetto molto tempo innanzi da Simeone, in quel giorno stesso in cui Ella presentò al Tempio il suo Figlio. Voi sapete come quel buon vecchio, tenendo tra le mani il Divino Infante e vaticinando l’avvenire di Lui, rivolto alla Madre disse: «La tua anima stessa sarà trafitta da un’acutissima spada; spada non di ferro materiale che strazia il corpo, ma di un terribile dolore che trapassa e divide il cuore». Lo predisse il santo profeta, mosso dallo spirito di Dio: Maria ne accolse e conservò sempre nell’animo la ferale espressione ed ora viene il tempo che il funesto vaticinio si avvera.

Quanto diverso fu questo annunzio da quello che le aveva recato dal cielo l’arcangelo Gabriele! Allora fu detta: «Piena di Grazia», ora è piena di angustia e di tormento; allora le si annunziò che il Signore era con lei, ora Ella sta per perderlo nella più atroce maniera; allora fu chiamata benedetta e felice fra tutte le donne, ora è di tutte la più desolata ed afflitta.

Già è compiuto ogni tristo annunzio, la sentenza di morte per l’Innocente è ormai scritta e pubblicata. Gesù, in mezzo a due malfattori, attorniato da vili soldati, accompagnato da immensa folla che schiamazza contro di Lui, portando lo strumento dell’olocausto sulle spalle, incontra lungo la via la dolente Genitrice. È tutto insanguinato e piagato nella persona, ansante per lo sfinimento delle forze, pallido e contraffatto nel volto, incoronato nel capo da acutissime spine. O Gesù, che dolorosa figura è mai questa!

Immaginate, o mie sorelle, di ascoltare le grida, gli urli, i singhiozzi e le acerbe, impietose calunnie della turba.

Si sfoghi pure un’Agar nel vedersi morir di sete il suo Ismaele, si sfoghi un Giacobbe per aver perduto l’amato Giuseppe, si sfoghi un Davide all’annunzio del trafitto Assalonne; Maria, però, non può sfogarsi incontrando Gesù, perché il suo dolore sorpassa ogni misura.

Voi la direste un altro Abramo che, accompagnando sul monte il figlio, nasconde allo stesso, per non affliggerlo, l’estrema pena che prova. Ma Abramo, guardando il caro Isacco, lo vedeva lindo, non sfinito e non tutto grondante sangue. Isacco non era circondato da funi ritorte né attorniato da soldati nemici, non aveva il capo coronato di spine, non contraffatte le carni, non scoperte le ossa. In quale lacrimevole forma Maria vede l’amato Gesù e lo contempla ad ogni passo! Come un giglio avvolto fra le spine, che con le loro punte acute lo trafiggono da ogni parte, così Egli è divenuto l’uomo dei dolori.

Con tutto ciò, Maria non sfugge ad una vista così orrenda; anzi, rimira sempre e fissa il caro e straziato suo Figlio, ne condivide tutta l’amarezza e riceve nel cuore tutta la spada sguainata. Da una parte vediamo il corpo di Cristo straziato, piagato e crocifisso; dall’altra il cuore della Madre ferito, trapassato, diviso.

Tutto si ritrova in questo cuore, o mie dilettissime: i chiodi, i martelli, la croce, le spine, la picozza; tutto sente questo cuore: i colpi, gli insulti dei carnefici contro il corpo crocifisso del Figlio e le ferite che si imprimono in quelle membra sospese. Non si maltratta dai Giudei Gesù sulla croce, senza che ne riceva anche la Madre il fiero tormento: sue erano le piaghe del Figlio, suoi i gemiti, i sospiri, la sete, gli aneliti, l’agonia; sua la morte e quel colpo di lancia che, per mano di Longino, incrudelì sulla spoglia già fredda dell’amato suo Bene.

Chi può comprendere l’angustia di una tale madre che, sotto il patibolo di un tale Figlio, lungamente persevera né mai cerca un conforto o una tregua al suo dolore? Non può certamente allontanare lo sguardo, che sempre ricade o sul Figlio o sugli strumenti del suo strazio, o sugli spietati carnefici. Sotto la croce, mira il dolce Figlio reclinare il capo, pronunziare le ultime voci, esalare lo spirito: e quando fu deposta dalla croce la spoglia inanimata Ella l’ebbe in grembo, ne contemplò la morte, ne contò le fresche cicatrici, ne rimarcò i solchi dei bastoni, le punture delle spine, il segno dei flagelli e le lividure delle funi.

In questa dolorosissima serie di atroci spettacoli lacrimevoli a cui andò incontro la Regina dei Martiri non ravvisate voi ancora la spada preannunziata da Simeone? Aveva predetto, quel santo vecchio, che la spada del dolore doveva conficcarsi tutta nell’anima di Maria e, con l’amarezza del suo colpo, tutta piagarla e dividerla: la spada trapasserà la tua anima. Ora, il funesto vaticinio ha pieno compimento; nessuna parte di quell’anima benedetta va esente dal dolore.

Come la mirra amareggia tutta la sostanza a cui si frammischia, così la passione di Cristo si versa su tutte le potenze dell’anima di Maria e la riempie della sua crudele amarezza.

Si spande la mirra sulla memoria e cambia in amaro il ricordo più bello e felice: ricorda Maria i benefici immensi di cui l’arricchì il suo Signore: la maternità divina che le accordò, le virtù, i privilegi con cui la distinse, ma queste care memorie le si cambiano da felici in disgustose e crudeli alla vista del suo perseguitato e morto Benefattore.

Si spande la mirra sull’intelletto della Vergine e cambia in amaro le cognizioni più belle. Piena dello Spirito di Sapienza, Ella conosce il merito infinito del suo Unigenito, ne considera la delicatezza del corpo, la sensibilità dell’anima, la santità della vita, l’innocenza dei costumi, ma soprattutto, in estasi sublime, Ella rimane immobile nella contemplazione dei celesti favori quanto più l’amarezza della dolorosissima passione del Figlio si acuisce nel suo cuore.

Si spande finalmente la mirra sulla volontà di Maria e in tutti gli affetti più teneri e deliziosi insinua la sua intollerabile amarezza.

Se Ella potesse amar di meno Gesù, quanto sarebbe meno afflitta! Ma Ella lo ama con amore sommo ed inesprimibile e questo inesprimibile amore, come fu già il carnefice del Figlio diviene pure il carnefice della Genitrice e fa che in tutta quell’anima penetri la misteriosa spada: la tua anima sarà trapassata dalla spada del dolore.

Ma rivolgiamo ormai il pensiero a cose più liete e, lasciata alla vostra considerazione l’atrocità del patire di Maria, vediamo gli immensi vantaggi che Ella ci apportò con quelle sue pene. Subito mi si offre alla mente l’esempio di tante virtù che, in questo giorno, potenziarono il cuore della Vergine e lo rinforzarono opportunamente per il fierissimo assalto che dovette sostenere. Che altro furono, infatti, se non difese raccolte per corroborare il suo cuore?

Ricordiamo, dapprima, quella fede così viva che la introduce nei più santi misteri e la rende estatica nella contemplazione di Gesù sotto la croce, quella rassegnazione che traspare dal mite suo sguardo e dall’atteggiamento composto della sua persona, quell’umiltà che oppone agli improperi e agli insulti dei soldati quando è riconosciuta quale Madre del condannato, quel divino amore che le fa accettare di perdere il suo caro Figlio.

Che dirò, poi, della sua invitta costanza? Argomento è questo sempre antico e sempre nuovo che entusiasma ogni oratore che di Lei parla ed ogni fedele che l’ascolta! Ecco la fortissima donna che sta sotto la croce, che è forte in tanta tempesta, che sostiene la visione di tali spettacoli con una magnanimità e fermezza che io non saprei dire altro, se non come dice sant’Ambrogio: «Ella vi sta, come conviene alla Madre dell’Uomo-Dio; vi sta non meno di come era conveniente che vi stesse la Madre di Cristo».

Qual nuovo roveto situato sul monte santo, Ella arde di continuo di un dolore intensissimo che però non la distrugge né consuma. Se ne fuggono avviliti i discepoli; percosso il pastore, si disperde il gregge; Maria, invece, persevera fino alla fine. Questo è un esempio luminoso e raro di umana virtù il quale, ricolmando di meriti quell’anima trafitta, la fece olezzare di soave fragranza. Sì, di soave fragranza – io dico – di cui non si riempie Ella sola, ma che versa oggi benefica su noi pure e su tutta la Chiesa, quasi altra Maddalena che, allo spezzare il vaso dei suoi preziosi aromi, rende profumata tutta quanta la casa.

Questa pietosissima Vergine fu tanto benefica quanto addolorata e, piena nel cuore di affetto per noi, si fece in questo giorno Corredentrice del genere umano. Emulando Ella la carità del suo Figlio, come ne emulò le angustie, diede generosamente il suo consenso alla grande opera della redenzione e, se fosse stato necessario, avrebbe perfino innalzato sopra il patibolo il suo Unigenito con le proprie mani perché, con occhio devoto, Ella ammirava non tanto la morte del Redentore, quanto la redenzione del mondo: Cristo offriva il sacrificio del suo corpo, Maria offriva quello del suo cuore, come insegnano i santi Padri.

A questo titolo di Corredentrice, che a Lei giustamente compete, si unisce pure quello dolcissimo di madre. No, non furono vuote di profondo e sublime significato quelle ultime parole, dette dal Figlio quando lasciò a Maria, in Giovanni, un nuovo figlio e, nel discepolo, noi tutti.

La perdita del caro Figlio, la disuguale sostituzione e i demeriti della nuova prole acquistata siano pure una pena atrocissima al cuore di Maria; a noi, però, basta che Ella ci abbia accettati per figli e che noi possiamo chiamarla con il dolce nome di Madre.

Sì, amatissima Madre, permettete che tale noi vi riconosciamo, tale vi invochiamo e tale vi veneriamo, specialmente in questo giorno in cui facciamo memoria di quell’atroce passione che vi costò la nostra salvezza. O addoloratissima Madre, se io guardo il vostro dolore, non ne trovo uno che gli assomigli. Se considero il vantaggio che ne risulta, non trovo bene che lo uguagli: voi siete veramente mirra elettissima, sia nell’amarezza che contiene e che voi pienamente provaste, sia nella fragranza soave che essa diffonde all’intorno.

Deh, fate che anche noi soffriamo con rassegnazio ne, pronte al divino volere, quanto Iddio disporrà di noi, affinché anche noi sappiamo mostrarci degni vostri figli e, gustando con voi l’amaro della mirra, possiamo a vostra imitazione, arricchirci di sante e cristiane virtù. Amen.