Suore dell'Immacolata

Accidia

 

L’ACCIDIA

Il settimo ed ultimo peccato capitale, come voi ben sapete, è l’accidia. Essa è un vizio che più comunemente porta l’anima all’eterna rovina e la fa schiava del demonio. Essa è nemica di tutte le virtù e rende l’uomo inferiore a tutte le creature. Lo Spirito Santo, parlando per bocca del Savio, manda l’uomo pigro e accidioso alla scuola della formica affinché, dalla sollecitudine e diligenza con cui questo animaletto si prepara nell’estate il cibo per l’inverno, impari anch’esso ad essere sollecito per ciò che riguarda l’onore e la gloria di Dio e la salvezza dell’anima.

Da questo solo voi potete argomentare quanto sia da fuggire il vizio dell’accidia e della pigrizia. Parlando dunque oggi di questo vizio capitale, vi mostrerò in primo luogo che cosa sia l’accidia e in quanti modi e in quanti modi si possa peccare per mezzo di essa. In secondo luogo vedremo i motivi che ci devono spingere a fuggirla e in terzo luogo indicherò i rimedi per potercene liberare. Rinnovate dunque la vostra attenzione.

L’accidia, considerata in senso largo, è un tedio qualunque della fatica ed è contrario alla virtù a cui si applica. Considerata, poi, più particolarmente nel suo proprio senso, l’accidia è un tedio ed una tristezza delle cose spirituali e divine che si considerano come fastidiose e incomode, a motivo delle difficoltà che si trovano nella pratica delle virtù cristiane e nella fuga dai piaceri illeciti e proibiti. Si dice: un tedio e tristezza delle cose divine non considerate in se stesse, perché esse sono care ed amabili, ma considerate in rapporto a noi, cioè per la fatica che dobbiamo sostenere per conseguirle e conservarle. La tristezza, dunque, con cui si hanno quasi a nausea i beni spirituali e tutto ciò che è ordinato al loro conseguimento, cioè le virtù, i sacramenti, i precetti di Dio e della Chiesa, le buone esortazioni ed i buoni consigli, si chiama accidia. Ma, direte voi: da dove nasce questo vizio dell’accidia? Esso nasce principalmente dal troppo attacco alle cose temporali ed ai piaceri della vita presente, perché quanto più si amano le cose della terra, tanto più vengono a nausea le cose celesti e se ne perde anche totalmente il gusto e, perdutone il gusto, non può che riuscire fastidioso e molesto il loro esercizio. Secondariamente l’accidia nasce dalle difficoltà e fatiche a cui bisogna sottoporsi per conseguire i beni spirituali, perché naturalmente si rifugge da tutto ciò che reca fatica. L’accidia, poi, di suo genere è peccato gravissimo, perché si oppone alla carità verso se stesso e verso Dio. Non è forse vero che chi desidera un male grave o si rattrista di un bene notevole del prossimo, pecca gravemente? Dunque anche più gravemente pecca chi fa ciò con se stesso, rattristandosi di quei beni spirituali che riguardano la sua eterna salute, invece di impegnarsi a conseguirli. Così come può dire l’accidioso di amar Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, come richiede il primo precetto della divina carità, se nelle cose spettanti il suo divino servizio è freddo del tutto o, almeno, tiepido e insignificante?

Dunque l’accidia si oppone anche alla carità verso Dio. Infatti, il frutto dell’amore è un ardente desiderio della giustizia, che è la santità dell’anima ed è una delle beatitudini evangeliche. Ma come possono dire di avere sete e fame di giustizia e santità quelle persone che hanno tanto a tedio e a fastidio quelle opere di pietà che sono così necessarie per conseguirla? Quelle persone che sono così pigre e negligenti nell’adempiere i doveri del proprio stato? No, certamente! Dunque, non amano né Dio né se stesse come si conviene.

Ho detto che l’accidia è peccato gravissimo quando riguarda quelle cose che sono assolutamente necessarie all’uomo e che egli è tenuto a fare perché, se uno si rattristasse di qualche opera buona e virtuosa che fosse sollecitato a fare, ma a cui non fosse tenuto, allora l’accidia non sarebbe peccato grave. Così non sarebbe peccato grave provare in sé difficoltà e tedio nel fare qualche opera buona, perché questo può provenire dalla ripugnanza che ha la carne contro lo spirito: anzi, quando uno procurasse di combattere valorosamente e superare questa ripugnanza, ne acquisterebbe merito. Così non qualunque tristezza nelle cose spirituali è peccato grave, ma quando procede da deliberato consenso. Quando, dunque, questa deliberazione non c’è, quando uno, per la violenza delle passioni o per la moltitudine delle cure mondane, o quando, spaventato dalla difficoltà dell’impresa, prende tedio delle cose spirituali, non sarà che peccato veniale e fors’anche neppur peccato, potendo questo essere tentazione e non vizio. Così, parimenti, sarà solo peccato veniale quando la materia è leggera, come quando uno si rattrista non del bene spirituale in se stesso, ma a causa di qualche circostanza di tempo, di luogo o d’altra cosa simile.

Ma dunque, direte voi, quando precisamente l’accidia è peccato grave? Ve lo dico io in poche parole. L’accidia è peccato grave dapprima quando uno si annoia o si rattrista del bene spirituale che è necessario e indispensabile per conseguire la vita eterna e l’anima vi acconsente, in modo che fugge e ha in odio un tale bene.

Secondariamente è peccato grave quando uno è così volontariamente contrario agli esercizi spirituali da lui stimati molesti e noiosi, che li abbandona del tutto per darsi ad una vita dissipata e colpevole. Il motivo è perché ciascuno è obbligato, per legge naturale, a procurare la sua eterna salvezza e a servirsi di tutti i mezzi stabiliti da Dio per conseguirla. Così peccano d’accidia tutti quelli che per tedio e noia non usano nessuna diligenza per acquistare la perfezione che è propria del loro stato; quelli che, trovandosi in peccato, rimandano di convertirsi a Dio per settimane e mesi; quelli che consumano il tempo così breve e prezioso, quel tempo che Dio ci concede all’unico scopo che noi ce ne serviamo per operare il bene a sua gloria e a nostra santificazione, lo consumano, dico, in passatempi, in conversazioni, in visite e in cose inutili. Ciascuno, dunque, esamini un po’ bene se stesso e, trovando d’aver mancato su questo punto, ne domandi perdono a Dio, facendo sempre tutto

il bene possibile con fervore e diligenza perché, alla fine, che ci servirà l’essere stati allegri, pronti e solleciti per le cose del mondo, se ci saremo impegnati meno nel bene? Dio condannerà, come vergini stolte, tutte coloro che non avranno fatto tutto quel bene ch’era in loro potere di fare.

L’accidia poi ha anch’essa le sue figlie, come tutti gli altri vizi capitali: sei ne assegnano generalmente i teologi.

La prima è la disperazione, che è un peccato gravissimo per cui, diffidando la persona di poter conseguire la vita eterna, trascura ogni mezzo per conseguirla, si getta dietro le spalle ogni pensiero di perfezione e si dà in balìa delle sue sfrenate passioni.

La seconda è la pusillanimità, e si ha quando uno trascura di eseguire i consigli evangelici e i divini precetti, perché li trova troppo difficili; e questa pusillanimità circa i comandamenti è colpa grave.

La terza figlia dell’accidia è il torpore, il quale determina una certa leggerezza o mancanza d’impegno, per cui si trascura del tutto l’osservanza dei precetti, o la si fa di mala voglia e quasi per forza. Questo torpore è sempre pericoloso, perché inaridisce nell’anima ogni umana devozione, ne indebolisce le forze, sparge in essa la zizzania dei vizi e vi introduce un certo sopore e oscurità di mente, che poi la rende inabile agli esercizi di virtù. Per questo S. Paolo voleva che nel servire il Signore non si fosse pigri, ma tutti solleciti e ferventi.

La quarta figlia dell’accidia è la malizia, come fanno quelli che mettono in ridicolo le persone semplici e dabbene, motteggiando la loro pietà e burlandosi dei loro spirituali esercizi. Anche questo è un peccato gravissimo.

La quinta è il rancore il quale consiste in un certo sdegno che hanno gli accidiosi verso quelle persone che, o con prediche o con esortazioni e con avvisi e consigli, cercano di stimolarli a cambiare condotta di vita e per questo sparlano di esse e le disprezzano senza voler profittare dei loro insegnamenti e correzioni. Questi tali che disprezzano e non tengono in considerazione gli insegnamenti che vengono loro dati e le correzioni che vengono loro fatte, secondo l’avviso dello Spirito Santo, portano già in fronte il marchio della riprovazione.

La sesta figlia, finalmente, è la distrazione della mente dalle cose spirituali, per le quali si ha tristezza e tedio, per applicarsi poi ad altri oggetti per i quali si ha gusto e piacere e se questa distrazione è volontaria e illeciti e malvagi sono gli oggetti ai quali si rivolge la nostra mente, non si può dubitare che non sia peccato grave.

Ora, se l’accidia è un peccato grave ed è causa di tanti altri peccati come abbiamo detto, non vi pare, mie Suore, di dovervi decidere di fuggirla con ogni diligenza?

Ecco, ora, i motivi che ci devono indurre a non lasciarci mai sorprendere da questo brutto vizio dell’accidia. Questi motivi sono vari, ma io ne esporrò due soli. Il primo è che l’accidia, poco a poco, va distruggendo in noi ogni virtù, riempiendo l’anima di difetti. Perciò lo Spirito Santo paragona giustamente l’anima accidiosa ad un campo incolto, il quale non solo è privo di buoni frutti, ma è anche pieno di triboli e spine.

Il secondo motivo che ci deve determinare a fuggire l’accidia è il sapere che noi siamo posti da Dio nel mondo per fare il bene e, facendo il bene, meritarci la vita eterna e il sapere che siamo su questa terra per servire con fedeltà e fervore Dio, nostro Padre e Signore, e con questo mezzo renderci degni del compenso ch’Egli ha preparato ai fedeli suoi servi.

Quando noi manchiamo al suo divino servizio, compiendo con noia gli esercizi spirituali, noi veniamo a mancare al fine a cui Dio ci ha ordinati e, per questa sola mancanza, noi meritiamo di essere condannati da Lui.

Infatti, se voi aveste in casa un servo, condotto a voi perché facesse ciò che voi gli ordinaste e questo servo, invece di lavorare, se la passasse in chiacchiere e stupidaggini, oppure, potendo, non facesse che una sola parte di quello che dovrebbe, sareste contente del suo servizio? Gli dareste ugualmente il salario pattuito? No certamente, che anzi, sareste molto scontente di lui, lo licenziereste ben presto dal vostro servizio, lo allontanereste da casa vostra. Lo stesso fa Iddio con noi.

Egli ci ha creati e ci conserva perché ci applichiamo in opere buone a suo onore e a sua gloria: se noi non facciamo, oppure facciamo meno di quello che potremmo fare, non sarà sicuramente contento di noi, né ci darà la promessa mercede, ch’è la gloria del cielo: ma ci manderà invece, come alberi infruttiferi, al fuoco eterno. Infatti il Vangelo dice che le vergini stolte furono escluse dalle nozze dello sposo, cioè dal paradiso, non perché avessero commesso disonestà ed altre malvagità, ma solamente per non aver preparato una scorta di olio per la loro lampada, cioè per non essersi impegnate a fare opere buone. Ecco, mie Suore, che grande male sia lasciarsi sorprendere dal tedio e dalla tristezza nelle cose spirituali; ecco che grande male sia lasciar oggi la lettura spirituale, domani la meditazione, un altro giorno l’esame di coscienza alla sera, un altro la visita alla chiesa, un altro giorno la predica o qualche altro devoto esercizio: è un rendersi indegni della ricompensa del paradiso, un chiudersi in faccia, poco a poco, le porte della beatitudine eterna. Ecco, in una parola, che cosa sia l’accidia: un peccato che, se anche non ne avessimo commessi altri, basterebbe da solo ad escluderci dalla gloria del cielo. Non vi pare, dunque, che si debba fuggire con grande sforzo?

Ed ecco, in pratica, quali sono i mezzi per evitare un tale vizio. Chi non ha stabilito le sue orazioni e i suoi spirituali esercizi da farsi mattina e sera, lo faccia. Così stabilisca di farsi ogni giorno la sua lettura spirituale, d’impiegare quanto tempo più potrà nella meditazione della passione di Gesù Cristo o di qualche altro divino mistero o massime eterne, di partecipare con la massima devozione alla S. Messa, di visitare più frequentemente che potrà Gesù Sacramentato. Stabilisca di fare ogni sera il suo esame di coscienza, per vedere come vanno le cose dell’anima sua e spesso rinnovi la risoluzione di darsi interamente a Dio e di volerlo amare con tutto il cuore e con tutte le forze e, stabilito tutto questo, procuri di non mancarvi. Che se qualche volta vi sentite oppresse da qualche noia, tristezza o tedio, non lasciate per questo la vostra orazione, né alcun altro dei vostri quotidiani esercizi di pietà, ma continuateli con costanza fino alla fine, perché sono queste appunto le astuzie con cui il demonio cerca d’impedirvi ogni bene.

Anche Gesù nell’orto ebbe tedio e tristezza grandissima, ma non per questo lasciò l’orazione; anzi, quando la tristezza giunse a tal punto che lo fece andare in agonia e sudare vivo sangue, allora più lungamente pregava.

Se la vostra meditazione o altro esercizio non lo potete fare nel tempo stabilito, procurate, dice S. Francesco di Sales, di farlo in altro tempo, ma non lo lasciate.

Svegliate alla mattina, alzate subito la vostra mente a Dio ed offritevi interamente al suo beneplacito, indi ringraziatelo di tutti i benefici che vi ha fatto e pregatelo con grande istanza ed umiltà a preservarvi sempre da ogni peccato. Fate l’atto di fede, affermando di credere a tutte le verità che Egli ci ha rivelato; l’atto di speranza, confidando che, per sua misericordia e per i meriti della sua passione e morte e per i meriti di quelle buone opere che farete voi, con la sua divina grazia, vi darà la gloria del paradiso; poi l’atto di amor di Dio, affermando di voler anche, per amor suo, amare il vostro prossimo, come voi stesse. Indirizzate tutte le vostre azioni, anche le più minute, alla maggior gloria di Dio, e questa offerta rinnovatela più spesso che potete durante il giorno, e procurate di mantenervi sempre alla sua divina presenza. Non dubitate che l’accidia starà lontana da voi. Amen.