Suore dell'Immacolata

Nostra giustizia

 

La legge antica e la nuova

Dal passo del Vangelo di S. Matteo: 5, 20

20 «… Dico enim vobis: Nisi abundaverit iustitia vestra plus quam scribarum et pharisaeorum, non intrabitis in regnum caelorum».

LA NOSTRA GIUSTIZIA, OSSIA LA NOSTRA VIRTÙ

(Riflessione dettata ai cristiani in genere)

«Se la vostra giustizia» disse Gesù Cristo ai suoi discepoli, e in loro a tutti noi, «se la vostra giustizia non sarà più grande e più perfetta di quella degli Scribi e dei Farisei, in verità in verità vi dico che voi non entrerete nel Regno dei Cieli. «Avete udito che è stato detto agli antichi: «Non ucciderai e chi violerà questo comandamento, togliendo la vita a suo fratello, sarà condannato in giudizio. Ma quanto a voi, io vi dico che anche chi solo si adira contro il proprio prossimo, sarà ugualmente reo di giudizio. Chi poi dirà ad un suo fratello «stupido», sarà condannato nel sinedrio e chi gli dirà «pazzo» sarà meritevole del fuoco eterno. Se qualcuno di voi fosse già dinanzi all’altare per presentare la sua offerta e si ricordasse che il suo prossimo ha qualche cosa contro di lui, lasci lì la sua offerta, vada prima a riconciliarsi col suo prossimo e poi venga a presentare il suo dono».

Tale, miei cristiani, è la lezione che ci presenta S. Matteo nel Vangelo: lezione che noi verremo esponendo brevemente oggi e da cui cercheremo di dedurre quelle pratiche istruzioni che sono maggiormente necessarie al nostro spirituale bisogno.

Se la nostra giustizia, ossia la nostra virtù, non supera quella degli Scribi e dei Farisei, come afferma il divin Salvatore, noi non entreremo nel Regno del Cielo.

La differenza tra la nostra virtù e quella degli Scribi e dei Farisei, sta in quattro punti principali:

1) Gli Scribi e i Farisei non si curavano affatto di purificare il loro cuore dai vizi, dalla superbia, dalla colpa; tutta la loro giustizia si limitava all’esterno: digiunavano due volte la settimana, attendevano a lunghe e frequenti orazioni, pagavano esattamente le decime, erano parchi nel parlare e composti nel tratto e si mostravano così esatti in ogni azione esteriore, che non vi era in loro alcuna cosa da riprendere.

Tutto, in loro, sembrava di particolare edificazione, però nel fondo erano viziosi: ecco il motivo per cui il divin Redentore li chiamava «sepolcri imbiancati», che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni di ossa e di putridume.

La virtù di noi cristiani, al contrario, deve consistere principalmente – come ci avvisa S. Paolo – nel rinnovamento dell’uomo interiore, voglio dire nella purità del cuore e nella perfezione dello spirito. Non basta comparire belli e buoni agli occhi degli uomini, i quali non vedono che l’esterno: è necessario che lo siamo anche agli occhi di Dio, il quale vede il fondo del cuore.

Alcuni si fanno vedere irreprensibili osservando molte pratiche di devozione che si sono prescritte da loro stessi, si fanno scrupolo di dire una parola fuori tempo, di non ascoltare due o tre messe al giorno e poi nulla o poco si curano di adempiere i doveri della carità cristiana che è la regina di tutte le virtù e senza la quale non vi può essere vera devozione.

La virtù di costoro è simile a quella degli Scribi e dei Farisei, e pertanto non è sufficiente per entrare nel Regno dei Cieli. L’operare con animo bugiardo significa commettere un abominevole ipocrisia detestata sommariamente da Dio, il quale non si cura affatto di una pietà apparente quando non ci preoccupiamo di difendere anche il cuore dal peccato e di moderare e correggere le nostre cattive inclinazioni. «Lavatevi bene – dice Egli per bocca di Isaia – e mondate il cuore da ogni mancamento e difetto, togliete da voi tutto ciò che si oppone alle mie sante leggi e smettetela di agire perversamente!».

2) Il secondo motivo di differenza che deve intercorrere tra la nostra virtù e quella degli Scribi e dei Farisei è che quelli ne limitavano la pratica alla sola osservanza dei precetti legali, riguardanti unicamente le purificazioni esterne e nulla più.

Di queste essi erano osservanti sino allo scrupolo al punto che, per custodire le loro tradizioni, trasgredivano la divina legge di Dio, per cui il divino Maestro li rimproverava dicendo: «Per qual motivo trasgredite voi i comandamenti di Dio, per voler osservare le vostre usanze?».

La virtù di noi cristiani, invece, se vogliamo salvarci, deve essere intera, piena, perfetta, universale: osservanza esatta di tutta la legge, senza trascurare mai alcun benché minimo dei suoi precetti, perché lo Spirito Santo, per bocca dell’apostolo S. Giacomo, ci assicura che chi manca in un solo comandamento, pur osservando tutto il resto della legge, si fa reo davanti a Dio, cioè sarà condannato all’inferno se la mancanza è grave, o al purgatorio se leggera, come chi ha violato tutta la legge. Certo non dovrà soffrire come colui che ha violato più comandamenti, essendo la pena, sia nel purgatorio sia nell’inferno, proporzionata sempre ai mancamenti commessi, cioè soffrirà di più chi avrà più peccato, ma sia l’uno che l’altro sarà ugualmente espulso dal paradiso.

3) In terzo luogo i Farisei, che nel loro operare non cercavano altro che la propria stima, operavano per vanità, per ambizione e superbia e, al dire di Gesù Cristo stesso, tutte le loro azioni erano dirette a conseguire un buon nome presso gli uomini, a farsi da questi stimare a preferenza di ogni altro, e per questo ambivano sempre i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e volevano che tutti li chiamassero maestri.

I cristiani, invece, e specialmente le persone religiose, devono essere nel loro operare alieni dallo spirito di superbia e di vanagloria, cercando sempre in tutte le loro azioni soltanto la gloria di Dio. Chi opera con l’intenzione di piacere a Dio, per poco che egli faccia, acquisterà sempre più merito per il Paradiso, perché il Signore non guarda l’opera, ma l’intenzione con cui si opera e secondo questa ci dà il premio e la ricompensa. Vediamo infatti che Egli accoglie con la stessa benevolenza, fa la stessa festa e dà lo stesso premio al servo evangelico che ha guadagnato per lui due talenti, come a colui che ne ha guadagnati cinque, perché sia l’uno che l’altro hanno lavorato con la stessa intenzione. Notevole è la differenza tra due e cinque talenti, ma essa non dipende dalla maggiore attività dell’operante, bensì dal maggiore capitale avuto da trafficare dal proprio padrone, cioè da Dio.

Veniamo ora direttamente a noi: se io, nell’annunciarvi la divina Parola, ho inteso dirvi schiettamente e senza tanti raggiri la verità, avendo per fine il vostro bene, cioè il vostro miglioramento spirituale e la vostra perfezione davanti a Dio e voi, per un pretesto o per un’altro, non ne sapete approfittare, tutto il danno sarà vostro, mentre io avrò la stessa ricompensa, come se voi ne aveste profittato e foste divenuti grandi santi.

Al contrario, chi opera per essere veduto e lodato dagli uomini non solo perderà ogni merito per qualunque bella azione egli faccia e per qualunque virtù egli pratichi, ma in più ne riporterà pena e castigo.

Gesù Cristo, infatti, al capo sesto di S. Matteo, ci esorta a guardarci bene dal fare le nostre buone opere per farci notare dagli uomini e per essere da loro lodati se non vogliamo perdere la ricompensa presso il nostro Padre che sta nei Cieli.

È vero – dice S. Gregorio – che noi dobbiamo edificarci l’un l’altro col buon esempio, ma anche se le nostre buone opere compaiono in pubblico e servono per la comune edificazione, dobbiamo preoccuparci che l’intenzione sia sempre quella di piacere solamente a Dio, come se nessuno ci vedesse.

4) Il quarto punto, infine, di differenza tra la virtù farisaica e quella di noi cristiani sta nel fatto che i farisei erano talmente pieni di se stessi e della propria stima che disprezzavano tutti gli altri, come ne dà chiara testimonianza l’orazione di quel fariseo che, stando in piedi nel tempio di Gerusalemme, diceva di non essere come tutti gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri e nemmeno come quel pubblicano che stava là in fondo.

Noi cristiani, invece, dobbiamo essere affabili, gentili, caritatevoli con tutti e non mai disprezzare alcuno, per povero e misero egli sia, poiché la vera virtù sa farsi amare anche da quegli stessi che ricusano di abbracciarla. Colui che è veramente virtuoso – dice S. Gregorio di Nazianzio – si mette al di sotto di tutti e non allontana da sé alcuno. Quelli che trattano male il loro prossimo o ne parlano con aria di disprezzo, forse perché hanno qualche soldo di più o credono di aver avuto una educazione più raffinata, dimostrano che la loro virtù è farisaica, gonfia di superbia e priva di quella santa umiltà cristiana che sola la rende accetta a Dio.

Se di questi tali ce ne fosse qualcuno qui tra noi, io vorrei dirgli: voi che schivate i poveri e trattate più volentieri con le persone agiate e signorili; voi, che, se sentite uno che non abbia i vostri natali e i vostri denari dire una parola meno appropriata o lo vedete fare una cosa meno dignitosa siete pronti a dire: «Si sa chi è», ditemi; che merito credete di avere voi per essere nati da famiglie signorili e benestanti?

Se Iddio, largheggiando con voi in bontà e misericordia, ha voluto darvi più nobiltà e più ricchezze che non ad altri, volete voi servirvene per disprezzare i vostri fratelli e rendere a Dio ingiuria in cambio di un beneficio? Non vedete che, mentre accusate gli altri di poca educazione, vi comportate nel modo più incivile e grandemente mancate a quella educazione di cui tanto vi vantate? La vera educazione cristiana e civile rispetta tutti, non parla male di alcuno, né tratta con aria di disprezzo il suo prossimo. Tutti siamo figli del medesimo padre terreno che è Adamo e del Padre celeste che è Dio. La persona che noi non curiamo perché povera o di bassa condizione sociale, dinanzi a Dio può essere assai migliore di noi e in Cielo godere assai maggior gloria di quella che godremo noi.

Dobbiamo anche aggiungere che Gesù Cristo, nella sua vita mortale su questa terra, chiamava beati i poveri, perché di essi è il Regno dei Cieli e minacciava guai e rovine ai ricchi, perché essi hanno già la loro consolazione in questo mondo. Chi fa festa e buon viso alle persone ricche, con queste si trattiene volentieri e le tratta con deferenza mentre non usa gli stessi modi con quelle che gli sembrano povere, dimostra di aver uno spirito contrario a quello di Gesù Cristo e del santo Vangelo e opera in modo non cristiano ma farisaico, dal momento che il buon Gesù ci avvisa che se la nostra virtù non sarà diversa da quella degli Scribi e dei Farisei e non sarà fondata sulla santa umiltà e carità cristiana il nostro comportamento di persone virtuose e tutta la nostra esterna osservanza della legge, la frequenza ai Sacramenti, all’orazione, alla mortificazione e ad altri devoti esercizi di pietà non ci aiuteranno affatto a giungere alla nostra salvezza.

In conformità a questo il divino Maestro passa a farci notare alcune cose intorno all’osservanza del quinto comandamento della legge che, come sapete, è quello di non ammazzare. Mentre i Farisei, parlando di questo comandamento, insegnavano che è proibito solamente l’omicidio volontario lasciando libero corso all’odio, all’ira, alla collera, al disprezzo, all’ingiuria contro il prossimo, Gesù Cristo, correggendo questo loro atteggiamento, dice: «Sì, è vero, ai vostri antenati è stato detto di non ammazzare e che chi avrà il coraggio di immergere le mani nel sangue del suo prossimo sarà reo di giudizio non solo dinanzi agli uomini perché anche la giustizia umana punisce gravemente gli omicidi, ma molto più dinanzi a Dio che è il solo e vero padrone della vita dell’uomo, ma io vi dico che, in forza di questo comandamento, non solamente è proibito l’omicidio, ma tutto ciò che dispone e inclina all’omicidio, come l’ira, il disprezzo e qualunque tipo di ingiuria contro il prossimo. Chiunque si adira e si sdegna contro un suo fratello, sarà reo di giudizio davanti a Dio, come l’omicida; chi gli dirà sciocco, sarà condannato nel sinedrio e chi dirà pazzo a suo fratello, poiché si tratta di parola più ingiuriosa, sarà condannato al fuoco della Geenna».

«Si vede chiaramente – dice S. Agostino spiegando questo passo evangelico – che il Signore giudica i peccati in maniera assai diversa da quella degli uomini e che, come dinanzi a questi è reo di giudizio solamente chi ha commesso omicidio, dinanzi a Dio è reo ugualmente di giudizio chiunque si sdegna e si adira anche solo internamente contro il suo prossimo. Qualora poi questa ira desideri una grande vendetta o altro grave male al suo prossimo, Dio la punisce con lo stesso castigo con cui dagli uomini si punisce un omicidio volontario, cioè con la morte eterna nell’inferno. Se poi è colpa leggera, la punisce con una pena temporale, da scontarsi in questa vita o nell’altra, nel fuoco del Purgatorio. Se infine l’ira e il risentimento interno passano all’esterno insultando il prossimo con fatti o parole offensive, allora, essendo maggiore la colpa, sarà maggiore anche la pena.

Dunque, miei cari, procuriamo che la nostra virtù sia interna, consistente nella purificazione e nella integrità dell’anima, con la piena osservanza dei divini precetti e impegnamoci a non disprezzare mai alcuno e ad accogliere tutti con affabilità costante. Operiamo sempre con attenzione di piacere solamente a Dio e allora, superando nella giustizia e nella santità gli Scribi e i Farisei, saremo introdotti nel Paradiso a godere eternamente del nostro Dio, somma Giustizia.

Amen.